Post

Visualizzazione dei post da luglio, 2019

Ti credo. Anzi no.

Il desiderio di pace mi chiede di crederti. La mia pelle mi impone prudenza. Talvolta un respiro s'interrompe a metà: sono certa che è quando lei bussa alla tua porta. Non riesco a comprendere quanto vuoi davvero chiuderla, quella porta, visto che finora non l'hai fatto; nemmeno quando te l'ho chiesto. Non riesco a crederti come vorrei e temo che non ci riuscirò mai più. Mi sai dire se ci si abitua, a questo tarlo che rode e consuma i pensieri e respiri?

Equilibrio precario

Mi aggrappo alle parole di questo non luogo per non perdere l'equilibrio. Alle parole scritte da chi sa scrivere che leggo come indispensabili barriere al mio cadere. Sempre le parole. Forse avrei necessità di gesti, invece? Non ne ho. Non ho gesti da dare: una mano che cerca, un corpo che si avvicina. Ho paura di sbagliare. Non ne ricevo: una mano che cerca, un corpo che si avvicina. Mi sento sola. E lontana. Sul filo. Le braccia spalancate, ancora una volta, per non cadere. Sotto, un vuoto che non sembra avere fine.

Pianissimo. Quasi immobile.

Dovrei decidere se credere alle tue parole o alla mia pelle. Oppure potrei decidere di non scegliere, di accettare l'incertezza, l'equilibrio troppo precario, e aspettare. Ma in questo caso dovrei sapere cosa aspettare. Dovrei riuscire a chiudere gli occhi e non vedere i sogni che si muovono dietro le palpebre, tra i pensieri sudati, nei respiri faticosi. Oppure potrei decidere di raccontarteli tutti e guardarti, mentre ascolti quello che so senza capire da dove arrivi tutto questo sapere. O, ancora, potrei tacere e aspettare che i sogni, i pensieri, i respiri vengano cancellati da un risveglio finalmente ristorato. Ma in questo caso dovrei saper dormire come dormono...chi? Non so dire. Non so i gesti. Non so. Sono tentata dal tuffo per tornare a sentire un po' di ristoro sulla mia pelle ferita. Ma ho il timore dell'acqua salata  su cicatrici mai curate. Piano piano. Pianissimo.

Te lo dico così

"A volte il silenzio dice quello che il cuore non avrebbe mai il coraggio di dire". Banale citazione di Alda Merini, ma non so come altro dirtelo. Vienimi a cercare. Convincimi di aver travisato. Convincimi che il mio sentire questa volta ha sbagliato. Oppure dimmi anche che non ho sbagliato, ma che tu sei qui. Che resterai qui perché è quello che vuoi. Che non ci saranno altri sentire, perché sono io quella che vuoi. Vienimi a cercare. Parlami e costringimi a parlarti. Solo tu puoi aggiustare i mille frammenti di cui mi sento scomposta. Ed è questo tuo lasciarmi così, in frantumi silenziosi, che continua a ferire e rende sempre più debole la possibilità di tornare a casa. Vienimi a  prendere, quando mi perdo nei miei sogni tra il sonno e la veglia. Rendimi la voce che ho perso. Vieni a cercarmi. Trovami.

Piccoli esercizi di felicità quotidiana. 26

Immagine
La lettura è a volte un modo ingegnoso per evitare di pensare. (A.Helps)
Se sono in grado di condividere informazioni storico o artistiche di una chiesa, o di una città d'arte, è perché "ti ci ha portata tuo marito, vero?" Questa frase, pronunciata con estrema naturalezza da mia madre, mi ha molto colpita. In questi giorni leggo un libro che parla proprio di questo, "Le mie parole contro le sue".  Mi sono chiesta quando ho permesso di lasciare a mio marito il dominio sulla cultura nella nostra famiglia. Quando ho iniziato a tacere per far parlare lui. Quanto è stata una scelta di ammirazione, di comoda pigrizia e quanto un mio non sentirmi altrettanto colta e preparata.  Non sto dando ad altri che a me, la responsabilità di questo. Eppure c'è stato un tempo in cui leggevo e serbavo memorie che costruivano la ragazza che ero. Di cosa è fatta la donna che sono? Quali parole ho dimenticato? Quali, riferite a me, ho consentito che venissero dimenticate? Quanto tutto questo è dipeso e dipende da me, e quanto dall'ambiente in
U n giorno o l’altro ti lascio, un giorno dopo l’altro ti lascio, anima mia. Per gelosia di vecchio, per paura di perderti – o perché avrò smesso di vivere, soltanto. Però sto fermo, intanto, come sta fermo un ramo su cui sta fermo un passero, m’incanto... G.Raboni

Piccoli esercizi di felicità quotidiana. 25

Indossare un vestito che mi fa sentire bella (anche se ho chiuso la scollatura almeno un po'), che è della taglia che vorrei sempre, e scoprire che stringe appena appena un po'. Prenotare i biglietti per un luogo bellissimo, e andare con alcune fra le persone più care che potrebbero farmi compagnia. Una lista di gesti quotidiani disciplinati e ben alternati fra lavoro e svago. Aspettare l'arrivo di un nuovo libro che possa aspettarmi sul comodino. (Aspettare che tu ti accorga che dovresti riconquistarmi. Ah, no! Non è da te dedicarmi i gesti che vorrei. E sai una cosa? In questo momento nemmeno crederei, ai tuoi gesti. Mi hai frantumata e nemmeno te ne sei accorto.)

La fine

Che rumore fa, la fine? Di quali parole o di quale silenzio ha bisogno? E'  il rumore sordo di qualcosa che si spezza perdendo per sempre il frammento necessario a ricomporre il tutto. E' la schiena dietro la quale ti nascondi. E' la mano che non sa più cercare, prima del sonno, il suo angolo di riposo sereno. (Non c'è tappeto che possa nascondere la sua polvere. Non c'è rossetto che possa mascherare la fatica del sorriso. C'è invece questo vuoto che divora e impedisce di risalire a prendere fiato) E' l'aver visto il contorno netto di un restare che non è ritorno, non è scelta; non è. E' l'incapacità di sciogliersi in pianto. Il sentirsi soli come nemmeno si pensava di poter essere e sapere che lo si sarà per sempre. Fine. Senza avere una pagina da voltare per ricominciare.

Piccoli esercizi di felicità quotidiana. 24

Smettere di leggere l'odio e la violenza di chi si ritiene detentore della sola verità possibile. Impegnarmi a declinare al femminile tutti i vocaboli divenuti esclusivamente maschili solo per cultura e non per grammatica. Dare un senso ai miei capelli in modo da lasciarli poi crescere felicemente confusi come sono. Un regalo: un vestito che sembri una nuvola; o un prato fiorito Regalarmi tempo per me sola senza alcun senso di colpa. Accogliere le mie nevrosi con un sorriso e pulire e stirare tutto il pulibile e lo stirabile. Leggere, leggere, leggere. Condividere piccoli gesti di libertà e bellezza. Essere grata anche quando non capisco di cosa. Abbracciare e chiedere di essere abbracciata. Toccare e lasciarmi toccare. Aggrapparmi alle sole Mani che non mi lasciano mai.

La Strega

Macabea lo sa. Macabea è una strega. Ha questo dono di sentire e sapere. Non sbaglia mai, quasi mai. Farebbe volentieri a meno di questo dono, lo baratterebbe con uno più frivolo: indirizzare lievi disgrazie a chi le incupisce i pensieri o rendere reale qualche minuscolo desiderio che rimanda sempre per senso del dovere. Questo dono le si manifesta spesso in sogni che restano appiccicati alle sue palpebre. Si sveglia e il sogno è lì: ad accorciarle il respiro e a rendere ancor meno ferme le sue mani già incerte. E così Macabea sa che nei loro giorni è tornata una strega di altro tipo. E che se è potuta tornare è perché qualcuno ha lasciato la porta aperta per lei. Ha provato a dire, ma non c'è voce per un orecchio che non vuole ascoltare. Respiro a fondo senza trovare aria abbastanza. Non ho molto su cui concentrarmi per distogliere il pensiero da quello che sarà nei prossimi giorni, ma proverò. Non posso dimenticare la consapevolezza di quello che sento e che è. Posso prova

Di cuori sparpagliati

Il solo modo di amarti è non possederti. E' nell'assenza di un noi che questo amore senza nome, senza forma né sostanza resiste ai giorni. Macabea pensa troppo, continuamente. Trova ordine ai suoi pensieri tra le pagine di un libro che altri hanno scritto per lei, ma quando posa il libro i pensieri tornano confusi come lo sono sempre. Forse è solo non possedendo che posso amare. Se so amare. Eppure vorrei la quiete di un amore fermo come un lago a novembre; dai contorni levigati e dolci come un sasso di fiume. Macabea pensa troppo, continuamente. E crede di trovare una risposta solo quando porge ascolto al suo sentire stregonesco, che le chiude lo stomaco e le spalanca gli occhi. Forse non so amare in altro modo che aprendo la mia pelle alle tue dita, il mio corpo al desiderio che ho di te. Ti sento alle spalle, so che ci sei prima di voltarmi e vederti. Sorrido sentendoti. Non puoi essere mio. Non posso essere tua. Macabea pensa troppo, continuamente. E forse è una fortu