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Visualizzazione dei post da settembre, 2018

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Una presenza fragile può rimanere come compagna di viaggio in un'assenza che è presenza quotidiana? Può, il nostro amare, il nostro pensare, dare vita a chi questa vita non la percorre più? Dare voce, colore, profumo. Profumo, soprattutto. Il profumo che consola nel buio di quando si pensa di aver perso la strada. Il profumo che riporta a casa. Passano gli anni, non i ricordi. Nemmeno il dolore, passa. Diventa solo più melanconicamente sopportabile.

Chiamalo sonno

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«Poteva anche chiamarlo sonno. Era soltanto in prossimità del sonno che ogni battito delle ciglia poteva provocare una scintilla contro l’esca confusa del buio, accendere negli angoli oscuri della camera una tale miriade di vividi zampilli di immagini (…). Poteva anche chiamarlo sonno. (…). Era soltanto in prossimità del sonno che uno sapeva di essere ancora disteso sui ciottoli, che sentiva i ciottoli sotto di sé; e sopra di sé, e sempre spinta veloce verso di lui come una schiuma nera, la nube perenne di piedi calzati che correvano, le scarpe rotte, le scarpe nuove, scarpe tozze, a punta, infangate, lucidate, sformate dai piedi callosi, rovinate dai selciati, pesanti, sotto a gonne, sotto a pantaloni – scarpe, sopra di lui e attraverso di lui; e le sentiva tutte e sentiva, non dolore, non terrore, ma il più strano trionfo, la più strana acquiescenza. Si poteva anche chiamarlo sonno. Chiuse gli occhi.» Ho letto per la prima volta di  Chiamalo   sonno  un paio di anni fa girova

Se non ci fosse la poesia

"...Metterò in una barca il mio sogno affinché veleggi. Chiara, diamantina ghiaia calpesterò. Quando la luce l’attraverserà sarà perla pesante il mio cuore. E riderò. E piangerò... Ma guarda, ecco, ecco la luna!" (Kostas Kariotakis)

Piccoli esercizi di felicità quotidiana. 11

Perché è lunedì e senza un po’ di buona volontà si faticherebbe a uscire dal letto. Perché inizia la prima settimana di autunno e io aspetto questa stagione già dalla metà di luglio. Perché osservo curiosa e impaziente il cambiare colore delle foglie, i giorni che si fanno meno luminosi. Perché spero di poter riempire gli occhi dei colori del nostro Appennino. Perché ho voglia di indossare le mie calze nere e spesse, gli anfibi di vernice, i maglioni in cui perdersi. Perché desidero il profumo della pioggia di novembre e certe mattine senza nemmeno la promessa di una luce. Perché potrei continuare questa lista ancora per molto e il mio sorriso, pensandola, diventerebbe sempre più ampio.

Il fianco sbagliato

Poso il libro, spengo la luce e mi volto. Il fianco sbagliato lo riservo all’altrove prima di dormire e all'addormentarmi. Poi, nel sonno, mi rigiro. Ho imparato ad addormentarmi sul fianco sbagliato per non darti le spalle, come più volte mi hai rimproverata, in passato. Ora mi addormento chiudendo gli occhi sulla tua schiena, ma capita che a svegliarmi siano i tuoi capelli che solleticano il mio volto, la tua testa che occupa un angolo del mio cuscino. E’ questa intimità silenziosa che mi consente di uscire dagli ultimi sogni faticosi, senza respiro. Mi manca talvolta l’abbraccio, che cerco allungando la mano senza disturbare il tuo poco sonno. E tu? Come hai imparato a scivolare nel sonno?

Il lungo sguardo

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Inizia dalla fine, Il lungo sguardo, di Elisabeth Jane Howard (Ed.Fazi). Parte dalla consapevolezza di Antonia per il fallimento del proprio matrimonio, nel giorno in cui la migliore società londinese del 1950 si trova a festeggiare il fidanzamento di suo figlio Julian; nel giorno in cui la figlia rivela una gravidanza non programmata e non consona alla figlia della buona borghesia; nel giorno in cui il marito le comunica che forse non sarà presente al matrimonio del figlio e quindi, quel giorno, quando arriverà, svelerà la menzogna della loro vita. Il racconto riavvolge il nastro della vita di Antonia, dimenticata da una madre troppo bella e da un padre troppo colto, entrambi con uno sguardo troppo miope per una figlia che sta faticosamente diventando donna. Antonia prova a costruire se stessa da sola, viene tradita dal primo amore e scappando cerca di salvarsi stringendo la mano di Conrad che sposa di fretta, come tuffandosi in mare aperto senza la certezza di saper nuotar

Sogni

Un tempo cantavo nel sonno, perché nel sogno cantavo. Ho perso quella voce e ora i miei sogni parlano lingue che non comprendo, come i miei giorni. Un tempo cantavo nei sogni, ora i sogni vorrei dimenticarli e mi restano invece appiccicati ai giorni

Silenzi e giorni

Si vivono silenzi. Parole stentate, solo se necessarie. Si toccano silenzi. Sfiorarsi evitando ogni possibile incontro. Si compongo tempi: il sonno e la veglia per non rischiare di rompere il silenzio. E farsi male. Capita poi di allungare una mano, incontrare una schiena. Capitano sogni interrotti da capelli che non sono i miei. Si sbatte contro fraintendimenti stanchi e rabbiosi. Resta la sensazione di impotenza, un po' di rassegnazione che però non trova la necessaria pace per diventare abitudine. Restano la solitudine, la fatica, il poco respiro, il sonno fatto di sogni affannosi. Restano i desideri taciuti ma non dimenticati. Resta la paura. Si vivono silenzi e si rimane da soli. Anche insieme.

Silenzio

Io mi unisco al silenzio io mi sono unita al silenzio e mi lascio fare e mi lascio bere e mi lascio dire. (A.Pizarnik)