Chiamalo sonno
«Poteva
anche chiamarlo sonno. Era soltanto in prossimità del sonno che ogni battito
delle ciglia poteva provocare una scintilla contro l’esca confusa del buio,
accendere negli angoli oscuri della camera una tale miriade di vividi zampilli
di immagini (…). Poteva anche chiamarlo sonno. (…). Era soltanto in prossimità
del sonno che uno sapeva di essere ancora disteso sui ciottoli, che sentiva i
ciottoli sotto di sé; e sopra di sé, e sempre spinta veloce verso di lui come
una schiuma nera, la nube perenne di piedi calzati che correvano, le scarpe
rotte, le scarpe nuove, scarpe tozze, a punta, infangate, lucidate, sformate
dai piedi callosi, rovinate dai selciati, pesanti, sotto a gonne, sotto a
pantaloni – scarpe, sopra di lui e attraverso di lui; e le sentiva tutte e
sentiva, non dolore, non terrore, ma il più strano trionfo, la più strana
acquiescenza. Si poteva anche chiamarlo sonno. Chiuse gli occhi.»
Ho letto per la prima volta di Chiamalo sonno un paio di anni fa
girovagando tra i blog di chi ama leggere e che, in qualche modo, sento vicino
ai miei gusti. Poi l’ho dimenticato. Fino allo scorso inverno, quando la mia libreria mi
ha consegnato l’ultimo buono acquisto conquistato. Pensando a come utilizzarlo,
ho cercato tra l’elenco dei desideri e ho ritrovato questo titolo. “Sono anni che Garzanti lo
mette come in ristampa: io te lo ordino, ma secondo me…”, mi sono sentita dire.
Era febbraio e poco più di un mese dopo, il giorno prima del mio compleanno,
ho ricevuto il messaggio che il libro era arrivato.
Non credo sia stato un caso, è stato il
regalo di un libro che chiede tempo e dedizione e ripaga con la gioia di una
scoperta che resterà a lungo, per sempre.
Chiamalo sonno, uscito nel 1934 è
il primo romanzo di Henry Roth, ebbe scarsissimo successo di pubblico e un buon
riconoscimento, invece, da parte della critica, tanto che una casa editrice versò all'autore un anticipo sul prossimo scritto. Solo che a questo punto Roth si ferma, decide di sparire e si
dedica all’allevamento di anatre.
Nel 1964 il romanzo viene ripubblicato diiventando un successo anche di pubblico.
Il libro racconta
la storia della famiglia Schearl in America, i primi anni del secolo scorso,
dove il padre aveva preceduto la moglie e il figlio: David, voce e sguardo di
tutto il romanzo.
Ritrovarsi, per questa famiglia ebrea,
non porta il conforto dello stare insieme. C’è una storia impronunciabile che
li accompagna da sempre e li chiude in un’atmosfera soffocante per tutto il
romanzo.
David teme il padre: distante, rabbioso,
sconfitto, e si protegge all’ombra di una madre affettuosa, vivace, che cancella in
un abbraccio cantato la sua timidezza e le sue paure, quasi mai pronunciate.
Roth usa David, il suo perdersi tra le
strade di New York, il suo pensare di bambino, il suo sguardo meravigliato, il
suo sentire intuendo senza necessità di comprendere per farci recuperare la
capacità di vedere oltre che è solo dei bambini. Con David ritroviamo la
capacità di vedere l’essenza, il necessario, il sacro che vi è in ogni
accadimento nonostante la durezza del quotidiano.
Quello che David si chiede, e chiede a
noi lettori, è come fare a preservare questo sguardo.
Mentre scorrono le pagine il nostro passo prenderà il ritmo di quello di David, i suoi occhi diventeranno i nostri.
Avremo bisogno di tempo, per questo
libro, che è un capolavoro da scoprire e diffondere.
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