11 Febbraio
La notte che ti ho cercato lungo il fiume, guardando dal
ponte e poi per il sentiero tra i più belli che si possono camminare.
La notte che ti ho cercato disordinatamente per strade a caso, troppo affollate
o troppo deserte per trovarti.
La notte che ho pensato di averti perduto e mentre lo pensavo ho sentito che ti
avrei ritrovato perché non c’era stata alcuna lacerazione in un pensiero così
enorme e indicibile.
La notte in cui sei morto.
Quando ti ho saputo al sicuro tra mura amiche pensavo di averti ritrovato, poi
ho capito che sei morto. E adesso mi manchi immensamente: un buco nero che mi
riempie e mi vuota di tutto.
Posso vederti, parlarti, abbracciarti. Posso sentire mentre ripeti le lezioni
ad alta voce. Possiamo discutere e ridere ancora insieme. Ma tu, che hai abitato
con noi, che abbiamo amato per 18 anni, non ci sei più. Con noi vive e si muove e occupa spazio un altro Tu, che amiamo immensamente ma
che non riconosciamo. Un buco nero da riempire o vuotare del tutto per riempire di nuovo.
Mi manca il mio F e poi penso che forse chi mi manca non è mai stato.
Forse a mancarmi è il mio disegno del mio bambino. Ma poi riguardo le vecchie
fotografie e lo trovo e risento la voce e il sorriso e tutta la sua luce e la
sua vivacità. Mi manca F, anche quello che c’è adesso. Perché non riesco
più ad abbracciarlo sentendomi abbracciata, perché i miei gesti sono timidi e
incerti mentre vorrebbero essere spontanei e certi.
Sento il peso di questa mia mancanza, dell’impotenza che mi paralizza, del mio
vuoto e immagino quanto grande sia il tuo dolore, il tuo vuoto o il tuo troppo
pieno.
E mi chiedo quante volte si possa morire durante una sola esistenza senza il sollievo della morte che sembra quasi un lusso che non posso concedermi.
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