Crossroads
Crossroads, è rimasto alcuni giorni sul mio comodino prima di iniziare la lettura: ho gustato l’attesa come fosse una promessa. Ogni tanto lo faccio con i libri che desidero molto leggere e Crossroads, l’ultimo romanzo di Franzen, ha meritato l’attesa.
La storia,
ambientata tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, è quella
della famiglia Hildebrand e della comunità cristiana di New Prospect, alla
periferia di Chicago, e rivela cosa c’è
dietro la sua facciata di piccola borghesia, svelandone le ipocrisie, le
solitudini, la distanza fra prossimi.
La crepa che
consente lo sguardo del lettore è la crisi nel matrimonio fra Russ e Marion.
Lui è il reverendo della First Reformed Church, patriarca debole, insoddisfatto
del proprio ruolo che per questa insoddisfazione si compiace e si commisera
assolvendo il proprio rancore verso il pastore rivale, Rick Ambrose, leader di
Crossroads, l’associazione cristiana giovanile fondata da Russ ma sottrattagli
proprio da Ambrose, e l’infatuazione per Frances Cottrel, giovane parrocchiana
vedova.
Marion è la moglie, ancor più è la madre e la donna. E’ Marion che nasconde il segreto che regge tutta la famiglia, la fa esplodere e poi prova a rimetterla insieme. E’ la storia di Marion, che lei tace anche al marito, che la impasta di un senso di colpa insuperabile e contagioso, che consente a Russ di essere il pastore che è, scrivendogli i sermoni e assecondando la sua vanità di uomo incapace di affrontare la propria mediocrità. Ed è sempre la storia di Marion che spezza il quotidiano familiare rivelandosi e condividendo la malattia mentale della ragazza abusata che è stata e che scardinando i ruoli che ciascuno aveva interpretato fino allora le consentirà di ritrovare la propria identità dimagrendo e fumando con trasgressione consapevole.
E poi ci
sono i loro figli; che si vergognano dei genitori e che sembrano non
riconoscere la profonda estraneità che li lega e che li rende incapaci di
conoscersi come individui e come fratelli.
E così Clem, il primogenito, ripudia
il padre non accettandone l’umanità mediocre e fallace, e cerca di partire per
il Vietnam trovandolo nei lavori più faticosi delle periferie del mondo. Mentre
Becky, la figlia bella e popolare, resta impigliata nei sensi di colpa e tenta
la fuga evitando di guardare i genitori e diventando a sua volta una copia di
quel modello di famiglia che vorrebbe superare. Perry è il figlio geniale,
egocentrico ed egoista fino a non porsi alcun limite nell’appagare il proprio
bisogno di dipendenza dalle droghe. E infine Judson, l’unico ancora
innocente e sereno, forse perché piccolo.
Come sempre
i romanzi di Franzen sono oltremodo densi e assorbono il lettore proponendo una
molteplicità di sguardi e letture possibili.
Quello che
mi sembra impossibile non notare è la presenza di un Dio pervasivo e di un senso
di colpa che rende inutili i tentavi di comprendersi e
conoscersi dei protagonisti. Impossibile non osservare come Crossroad sia proprio l'incrocio, il bivio, che muove il contrasto familiare e comunitario
in parallelo con quello degli Stati Uniti negli anni del Vietnam, del movimento
hippie e delle droghe.
Impossibile
non sentire la vergogna dei figli per i genitori e il rifiuto di questi per un
ruolo che diventa insopportabile nella loro umana carnalità.
Vera
protagonista di Crossroads è un’incomprensione insuperabile che inghiotte e
consuma senza che se ne veda una possibile soluzione.
Come ogni
volta la scrittura di Franzen resta addosso, chiede tempo e non trova una
lettura autentica e unica. Mi sembra che sia questa caratteristica di
sospensione da ogni giudizio definitivo il suo maggior pregio insieme alla
capacità di narrare grandi storie in cui entrare come spettatori attivi nel
poter contribuire a un finale aperto, forse per dare inizio all’attesa del
secondo capitolo di quella che è stata annunciata come una trilogia della
famiglia Hildebrand.
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