Macabea che sbaglia. Forse.
Macabea
viene rimproverata spesso.
I rimproveri fanno male sempre, se poi arrivano da chi ci ama e amiamo fanno
anche più male.
Le viene spesso rimproverato il tono sbagliato, la voce sbagliata, le parole, i
modi. Tutto sbagliato.
Qualche settimana fa il rimprovero le ha fatto particolarmente male perché
arrivato dopo un grande impegno di pazienza e attenzione e cura che non è stato
abbastanza compreso e sicuramente non abbastanza portato a compimento.
Macabea si accorge quando la sua voce non è quella che vorrebbe avere.
Soprattutto con chi in questo momento è fragile e ha necessità di un accudimento
speciale. Continua a provare e a
impegnarsi ben sapendo che quello che farà non sarà mai abbastanza e mai
come lo vorrebbero coloro che lo ricevono.
Ma dopo l’ultimo rimprovero, molto duro, dopo aver bagnato con lacrime molto
salate la ferita, Macabea ha compreso qualcosa di importante.
Chi la rimprovera ha disegnato una Macabea che non c’è, che le somiglia, ma che
non è lei.
Chi la rimprovera parte da quel disegno e ogni volta che non
corrisponde è come se un brutto segno venisse lasciato sul foglio e si dovesse
cancellare.
Macabea questo l’ha compreso perché gli stessi rimproveri non li incontra con
chi da lei non sia aspetta altro che incontrarla per com’è, anche ruvida,
talvolta. E questo non dover corrispondere a un disegno tracciato da altri la
rende meno ruvida, più paziente, più se stessa.
Ieri Macabea è stata nuovamente rimproverata attribuendole un’intenzione che proprio non era
nei suoi pensieri. Il rimprovero questa volta era del tutto, completamente,
ingiustificato e, forse proprio per questo, bloccato con un fastidiosissimo “non
parliamone”.
L’impossibilità di chiarimento per le piccole incomprensioni è un’altra ferita
che Macabea fatica a curarsi da sola, ma questo sarebbe un altro discorso.
Ieri Macabea si è molto arrabbiata, per questo rimprovero che la obbliga al
silenzio o, quanto meno, a pensare e soppesare anche le più banali
osservazioni. Ha covato pensieri rancorosi e ipotizzato un gesto antipatico ma
molto esplicativo.
Poi però le è tornato in mente il pensiero di qualche settimana fa: non è solo,
tutta, sempre, colpa sua. L’errore può essere anche di chi ascolta. Può
addirittura essere solo di chi ascolta senza sentire.
Così ha scrollato l’offesa, lo ha scritto nel suo taccuino perché fosse proprio
lì, fuori da lei, e ha riposto ogni intento bellico pur senza dimenticare o perdonare, perché per perdonare servirebbe che qualcuno si accorgesse di dover chiedere scusa.
Resta la necessità di far comprendere a chi la ferisce, l’inutilità del gesto.
Un modo, forse, sarebbe di fare qualcosa per sé di concreto, come accettare l’invito
di un’amica invece di preparare la cena. E’ un inizio, no?
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