"Scusatemi se faccio polvere"
Incuriosita da un articolo di giornale ho letto “Tanto vale vivere”, Dorothy Parker - La Tartaruga edizioni.
I racconti della Parker sono al fulmicotone: fanno sorride, ridere e inorridire. Hanno un’ironia impetuosa, una frivolezza annoiata; deridono senza pietà le debolezze di cui va fiera la società americana del tempo.
Mentre leggo sorrido molto e molto mi infastidisco. Penso a come verrebbero
lette le donne raccontate dalla Parker dalle ventenni, e non solo, di oggi. Sarebbe ad altissimo rischio di fraintendimento e le verrebbe probabilmente
negata la possibilità del sarcasmo con cui descrive se stessa e le altre donne.
Complice forse una traduzione non più attuale, molti dialoghi risultano superati,
così come poco efficaci i versi, ma proprio questo mi ha
regalato un viaggio nel tempo, l’illusione di sedere in un
club newyorchese negli anni del proibizionismo, o di entrare in un appartamento
che ospita relazioni ufficialmente clandestine.
C’è una società fiera della propria povertà culturale, ci sono donne e uomini
che si usano come accessori per un buon bicchiere di whisky, c’è un’autoironia
spiazzante e tagliente.
E poi ci sono le recensioni teatrali. Un manuale per chiunque voglia impararne
l’arte: la libertà irriverente di pensiero e di gusto intellettuale.
Attivista sui generis, non credo la Parker si troverebbe molto a proprio agio in questo
mondo di apparente correttezza esasperata.
Non ti
scusare della polvere, Dot. La polvere
che copre i nostri pensieri e i nostri gesti è intrisa di umidità stantia. La
tua è libera di viaggiare con il vento oltre il tempo che ci separa e di farci starnutire ancora.
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