Cosa rimane

Una pasqua vissuta nel silenzio.
Le strade vuote. Piazza San Pietro vuota. Francesco in silenzio. Dio che non c'è.
Silenzio anche di parole che non si trovano, di pensieri che non si sanno esprimere o, forse, semplicemente non se ne ha voglia.
Hanno suonato le campane, domenica: tutte le chiese della città insieme. Un silenzio assordante.
Eppure.
Macabea pensa che alcuni momenti di baratro profondo in cui precipita senza mai arrivare a cadere veramente, siano dovuti a disordini ormonali che la spaventano molto perché fuori da ogni suo possibile controllo. Se ne rende conto dopo, quando si placano un po'.
Resta la lucidità di quei momenti, perché Macabea pensa che siano quelli i momenti più sinceri. Come quando, da arrabbiati, si lasciano andare i pensieri, e le parole, a briglie sciolte: si pronunciano parole inappropriate e con toni sbagliati, ma le parole - e i pensieri che svelano - sono autentiche.
Resta, allora, la consapevolezza di una solitudine incolmabile; dell'impossibilità di essere compresa perché non sa raccontarsi. Resta il timore per i prossimi giorni, i prossimi mesi, i prossimi anni. Resta la lacerante assenza di dio e di una provvidenza a cui si è sempre affidata, di cui nemmeno ora sa davvero fare a meno.
Rimane la mancanza di un abbraccio che possa non finire, di un sostegno che non sia punitivo ma propositivo e generoso. Resta la mancanza di un incavo in cui affondare il capo, il naso, il respiro. Manca, in un certo senso, la casa.
Rimane il seme di un ottimismo a oltranza, quando gli ormoni gli lasciano spazio. Ottimismo che è salvezza e condanna insieme.
Rimangono i ragazzi, pur nella loro scontrosa lontananza, nel loro essere così altro e così parte.
Rimangono i libri in cui perdersi, alcune presenze lievi e discrete. E rimane poco altro. Non lo so se basterà. Me lo farò bastare.

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