Siediti, riposa. ci penso io.

Un giorno privo di luce che vorrei passare raggomitolata dentro un libro che porti altrove i miei pensieri.
Ho i piedi freddi e gli occhi stanchi. Penso che non rinuncerò alla mia passeggiata, sotto l'ombrello e con scarpe capaci di tener fuori l'acqua. Forse. Ho bisogno di stancare il corpo per non sentire la fatica del pensare.
L'inadeguatezza delle mie risposte alle domande di chi mi è accanto è talmente imbarazzante che la fuggo e mi nascondo. Non so come alleggerire i pensieri e lo sguardo della mia mamma, né come risolvere i labirinti intricati di mio padre; non so come riannodare il filo d'oro con mio figlio, che cresce troppo in fretta e che è così fragilmente confuso; non riesco, se non in maniera scostante, a tenere tra le braccia mia figlia in modo che sappia che ci sono sempre e incondizionatamente; non ho le parole e i gesti per accogliere mio marito, le sue fatiche e il suo immenso pensiero.
Non ho risorse nemmeno per tenere in piedi i miei giorni, come posso farlo con quelli di altri?
Non ho risposte, non ho soluzioni. Posso solo esserci, in maniera tanto imperfetta e imprecisa che mi chiedo se non sarebbe preferibile una dignitosa assenza.
Cerco di prendermi cura come posso. Cucino, rassetto, ascolto, racconto, prego; cerco di pronunciare più sì che no. Offro un accudimento dato per scontato, un prendersi cura che è il mio ruolo. Nulla di più.
Vorrei tanto qualcuno che per un po' si prendesse cura di me. Che mi dicesse: siediti, riposa. ci penso io.
Piove. Non dovrei sentirmi così sola proprio mentre piove.

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