Nessuno ascolta

Toccare la propria inutilità.
Potrebbe essere motivo di serena accettazione per aver concluso il proprio compito.
Potrebbe essere occasione per sedersi e semplicemente guardare l'altrui andare.
Potrebbe essere così se dall'altra parte non ci fosse un amore che non so amare, a quanto pare; se non ci fosse un cammino accidentato che non so spianare.
Mi hai colpita ancora una volta con mira da cecchino che spara a occhi chiusi per non vedere l'enormità di ciò che colpisce. Puoi farlo solo tu. Fragile e insicura e determinata in un racconto che puntelli di certezze che racconti ma non possiedi.
Mi hai colpita e lasciata a terra ferita di una ferita che non so guarire e che tu non vedi nemmeno, persa come sei nell'egoismo salvifico dei tuoi anni.
Mi hai abbattuta colpendo altre ferite non ancora guarite, il mio senso di colpa per l'incapacità di essere altro da quella che sono, il mio sentire che tutti questi colpi, l'indifferenza, la lontananza che si fa rifiuto, me li merito. Tutti.
Vorrei saper lasciarti andare. Anche a sbattere forte.
Vorrei saper sparire e lasciare che i tuoi giorni possano respirare liberi dal peso che sembro esserti.
Vorrei saperti abbracciare senza fermarti.
Ti abbraccio solo mentre dormi. Ti accarezzo solo mentre dormi. Ed è altro dolore che non so trasformare in serena consapevolezza del momento.
Prego di non essere più. Cedo gli anni che sono stati scritti per me a chi ne vorrebbe più di quelli che gli sono stati assegnati.
Nessuno ascolta.


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