Prima è stato il corpo.
Sangue e viscere scivolate con tremore tra lacrime come coltelli e respiro senza fiato.
Tra paura e dolore e impotenza.
Poi è stata la luce fredda dell'ospedale.
Le mani carezzevoli dell'infermiera e quelle fredde di un medico distante.
Il mio corpo non ero più io. Questa la sola sensazione certa dei lunghi minuti in cui ha cercato, a suo modo, di aiutarmi.
Il mio corpo altro da me. Per sempre?
Poi è stato il sonno e, poco dopo, una voce che chiamava il mio nome per farmi uscire da quel sonno bello in cui sarei voluta stare più a lungo; in cui vorrei poter stare anche ora, forse.
Poi è stato odore che ho riconosciuto con nostalgia. Solo che ora non ho null'altro che le mie ginocchia da stringere al petto.
E poi è stata casa e l'ingrato sentimento che mi vorrebbe sola. Da sola.
E' stato amore che mi ha abbracciato e che non so restituire. Perchè so solo piangere. Perchè sono triste.
Poi è stata rabbia.
Verso chi sembra saper chiedere e realizzare i propri desideri.
Verso chi si è sentito usato e abusato e poi ha compreso che invece è capace di dire sì.
Verso il mio corpo che non sopporto, verso la mia incapacità di abbandonarmi al Disegno che è stato pensato per me, verso la mia impossibilità di leggere la saggezza nell'agire della Natura.
Verso Dio che mi ha fatto sfiorare il mio sogno più grande per poi riprenderselo.
Poi è stato camminare, con la musica nelle orecchie per non sentire il rumore dei pensieri.
E' stato un ramo di rose bianche, piccole, rubate in un aiuola trascurata lungo la strada.
Adesso è sera. Ed è stanchezza.
Non so come riempire il mio tempo. Ogni attività mi sembra vana.
Non so come stare con i bambini.
Con Alice, che mi scruta con occhi adulti, che parla poco e si alza presto per far trovare la tavola pronta per la colazione; con Francesco che mi scrive biglietti struggenti e mi chiede di non essere più così triste.
Non so come stare con te che hai trasformato in scrigno il mio sentirmi tomba. Che non sai come stare con me e mi accarezzi la schiena.
Non so come camminare, come mettere un passo dietro l'altro.
Non so come dire ai miei occhi di smettere di riempirsi di lacrime.
Non so dove trovare la leggerezza di cui ho bisogno e allora la chiedo a chi ha uno sguardo buono e leggero sul mondo.

Non immaginavo tanta tristezza.
Il mio cuore ha perso un pezzo di sè, scivolato via con la carne della mia carne.
Aspetto.
Il giorno in cui tutto questo avrà, forse, un senso.
Aspetto.
Il giorno in cui il seme non germogliato porterà il frutto che ora non riusciamo a immaginare.
Aspetto.
Aspetto.
Aspetto.
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