Un desiderio diventa pensiero e il pensiero diventa presenza.
Si annida in fondo al cuore e resta lì e cresce e mette radici profonde.
Arrivi a dare contorni e profilo, al tuo desiderio; a pensarlo come esistenza altra da te.
E invece è solo nel tuo respiro, che vive.
Il mio desiderio è stato nascosto, detto, ripetuto, bisbigliato. Ha trovato, a volte, voce forte; spesso la voce sbagliata.
Il mio desiderio non se ne va. Forse non cresce, forse è già cresciuto.
Porta un rimpianto che riempie i miei occhi quando è buio e quando l'acqua mi scorre intorno.
Porta un rimprovero che non so addomesticare, riporre.
Porta un dolore che la ragione non comprende e la pella invece sente.
Porta la colpa del non saper sorridere come vorrei per la gioia di un'attesa, di un arrivo.
Porta la fatica di allungare un dito e lasciare che una minuscola mano gli si chiuda intorno.
Il mio desiderio è un vuoto che si allarga nella pancia.
Che viene stuzzicato da parole apparentemente neutre, durante una visita medica, per esempio, o in chiacchiere casuali.
Il mio desiderio è troppo parte di me.
Non ho mai sofferto di nausee e non so vomitarlo.
Lo tengo dentro. Come un gonfiore che duole alla gola, come il vuoto allo stomaco nell'incontro con un innamorato.
Lo cullo come il figlio che non sarà, come l'assenza che per il respirare del mio pensiero diventa presenza.


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