Antenora

"Tardavo a uscire dalla cappella. Stavo appoggiata allo stipite della porta semichiusa. Tra i battenti non rimaneva che un agio breve. Da fuori arrivava il vociare degli altri, già sparsi sul sagrato: consanguinei che non si vedono da tempo e rumoreggiano attorno alla sorpresa di ritrovarsi somiglianti. Era un mattino diafano d'inverno, fiacco di nubi. Eppure dalla feritoia sottile alle mie spalle la luce penetrava come un serpe a forare l'ombra, e smascehrava la pochezza di quel luogo intento. L'umido trasudava in terra dall'ammattonato e lungo le mura, cosparse di spacchi. Solo in alto la luce perdeva la crudeltà di fendente e si acquattava nella piccola volta a botte del soffitto.
Lei stava lì,...
...Più tardi, uscendo dalla cappella, non l'ho baciata. Io non tocco i morti. Se penso all'interno di quel loculo, vedo un paio di vecchie scarpe, qualche rimasuglio di stoffa, una forcina per i capelli, la vera del Duce. Per il resto, non credo che Antenora si lì."

In mezzo, centoquaranta pagine d'amore.
Quell'amore che solo chi ha una nonna può ricevere in dono. E ricambiare. Un amore che sta tutto dentro "Il catino di zinco" come il mio, per la mia nonna, sta tutto nell'intreccio di fili preziosi. Un amore con il linguaggio abituale della Mazzantini. Parole che escono dalla pancia, che sono scritte sulla pelle.
L'unico libro che ancora non avevo letto. Ho colmato il vuoto.

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