Di Franzen, della solitudine che non so dire, del trionfo dell'amore

"-Sono io, -disse lei.- Solo io.
-Lo so, -disse lui, e la baciò."

L'amore basta a se stesso. Dobbiamo arrenderci, trovare l'abbandono.
Felicità, infelicità, denaro, figli, vita perfetta, ironia e forse un po' troppa intelligenza esibita.
Eppure quando ho chiuso il libro ho pensato questo: l'amore basta all'amore.

Chiudo gli occhi e lo ripeto. E sento la mia pancia che lo ripete e si contorce.
Perché ha paura. La paura che io non so dire viene da lì.
Dalla consapevolezza che io solo posso vedere perché con me è cresciuta.
Dal desiderio di abbandonarmi non solo all'amore ma anche ad affetti che possono ferire anche di più.
Dall'abbandonarsi e dal restare feriti.
Dal curare le ferite con le vecchie cicatrici.

Apro un altro libro, che ha pagine di carta spessa e un po' ingiallite.
Che odora di tempo.

"La solitudine in cui abbiamo aperto gli occhi.
La solitudine in cui un mattino ci siamo destati, caduti,
crollati da qualche parte, quasi non potendo riconoscerci.
(...)
Qui, sull'orlo del vivere, dopo essere rotolato tutta la vita
come per un istante, mi osservo.
Questa terra sei stata tu, amore di mia vita? Mi chiederò forse
così quando alla fine mi conoscerò, mi riconoscerò e
sveglierò,
da poco alzatomi da terra, e mi palperò, e seduto sul fossato,
guarderò, alla fine, un cielo
che pietosamente risplende?
Non posso concepirti, amata del mio esistere, come solo una
terra che uno si scuote nel rialzarsi, per finire,
quando il lungo rotolare della vita è cessato.
No, polvere mia, terra improvvisa che m'hai seguito per tutta l'esistenza.
No, materia ardente e tristissima che un'ultima mano, la mia
stessa, avrebbe dovuto infine espellere.
No: piuttosto anima in cui tutto sono vissuto, anima per cui
mi è divenuta possibile la vita
e da cui solleverò i miei occhi estremi
quando con questi occhi che sono i tuoi, con quelli che
la mia anima assieme a te tutto osserva,
contemplerò con le tue pupille, con le sole pupille che sento
sotto le palpebre,
alla fine, il cielo che pietosamente risplende"
(Sguardo finale - Aleixandre)


E, ancora, Montale.

"(...)Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue."

Spero che il sonno sia lieve sulle palpebre che amo.
E i sogni belli, tra le ciglia che le coprono.

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