ritorno

Ho la mente tarlata e il corpo stanco.
Ho lo stomaco in subbuglio e la testa dolente.
Le spalle sono affaticate e le mani stentano a non tremare.
Forse non finirò il libro di Pamuk. Troppo, troppo simile a leggere un diario che non si sarebbe dovuto trovare né aprire.
Mi pensavo più forte, ma la lontananza non aiuta e il fare quotidiano è troppo banale per distrarmi davvero.
Cerco di parlare sottovoce così da ascoltare meglio la mia voce: temo possano uscire parole ferite verso chi non ha parte al mio dolore, alla mia fatica.
Penso ad un modo per urlare: non ho nessuno con cui farlo e questo rende più lenta la guarigione.
La verità è che vorrei conoscere ogni dettaglio. Vorrei che mi venisse regalata un'immagine nitida, lunga e completamente oggettiva. Vorrei un film girato da altri e senza puntini di sospensione. La verità è che mi sento cretina e ferita e umiliata e che vorrei invece sentirmi capace di prendere il mio dolore, guardarlo per capire che non è il più terribile fra quelli possibili, coccolarlo per un po' e poi chiuderlo in un cassetto e gettare la chiave.
Tutto banale. Come sono io.
Per questo non riesco a non sentirmi in colpa. E mi detesto per questo.
La verità è che vorrei sapermi arrabbiare fisicamente, vorrei saper picchiare, vendicare, rompere i piatti invece di stare qui a macerare e nutrire questo dolore piccolo e affilato.
Tutto tremendamente banale. Come sono io, che continuo a non morire perché non riesco a distruggermi come vorrei, perchè continuo a cercare una parola che non sento, che non ho da tanto, tanto tempo. che ho perso per sempre.
E non riesco neppure a piangere come forse dovrei.

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