Ho provato. A cercare le parole, a lasciarmi trovare dalle parole. Forse se sapessi stare in silenzio, riuscirei. Ma i miei pensieri non si fermano; si fermano le mie parole. Va bene. Accolgo l'incapacità di ascoltarmi mentre provo a dire tutto il dolore che mi ha urlato dentro e che ancora è lì, pronto a ripetersi. Non si può dire, io non so dire, il dolore del convivere col terrore di perdere un figlio perché lui pensa di volersi fare perdere. Ma lui è qui. Noi siamo qui. E barcollando ci teniamo per mano. Raccontarmi scrivendo è sempre stato il mio modo per sopportare il peso di ciò che non so dire ad alta voce. Scrivere è la mia voce. Ho appunti straripanti di prime righe lasciate a diventare anche le ultime. Punto. Sento il desiderio necessario di spalancare la porta di casa di Macabea e inondarla di nuova luce. Lì posso essere quello che sento, vederlo uscire da me, diventare più leggero, per poi riprenderlo. Anche tacendo. In questo ultimo anno abbiamo ancora una volt