La felicità di Virgina Woolf


Le letture del mio ultimo anno sono state accompagnate dai diari di Virgina Woolf, letti lentamente, tra un libro e l'altro, per trovarne il ritmo quotidiano e, talvolta, far coincidere i suoi giorni con i miei.
Non ho mai pienamente condiviso la lettura della Woolf alla luce della sua malattia mentale. Tra le righe dei suoi romanzi, nella sapiente e unica scelta delle parole, nei ritratti delle donne che vivono i suoi libri, ho sempre scorto una vitalità che nella più diffusa critica letteraria viene spesso dimenticata.
Nei diari ho trovato la civetteria, le preoccupazioni quotidiane per la gestione casalinga, la curiosità verso gli altri, l'amore per il marito e per altre donne; ho trovato il timore di non piacere, di non essere all'altezza e la consapevolezza del proprio talento; ho trovato le contraddizioni, le nuvole anche nei cieli più azzurri; la speranza e lo sconforto.
Ho trovato una donna come siamo in tante, ma soprattutto una donna che sapeva essere felice come si può esserlo: a scintille che si spengono in fretta proprio per poterle desiderare ancora.
Ecco perché oggi, nel giorno che ricorda la sua nascita, è questo pensiero che voglio dedicarle.
Per tutte le parole che mi ha regalato, per l'ammirazione che le porto da sempre, per la comunanza femminile e femminista, per averla incontrata all'inizio di un percorso che da lei mi ha portata a Joyce e poi alla Lispector; perché la leggo e il mio cuore inizia a battere seguendone la punteggiatura. Per queste ragioni e per altre, troppo intime per essere lasciate qui, so che Virgina Woolf ha conosciuto e vissuto la felicità.

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