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La misura della solitudine

Quale misura ha la solitudine? La prima volta ero a scuola, lo ricordo bene. La mamma non arrivava alla recita, gli altri genitori erano già tutti lì, o almeno a me sembrava così. Ricordo benissimo la sensazione di essere l'unica su un'isola deserta pur essendo circondata dai compagni e dalla maestra. Forse parte da lì.  La costante sensazione, che mi sembra consapevolezza, della mia trasparenza. E la malinconia che mi prende quando mi rendo conto di gioire in circostanze che per altri sarebbero insignificanti o addirittura indesiderabili. Perché per quanto possa girarci intorno, alla fine è sempre la Solitudine la compagna che non mi lascia mai sola.

Haiku

Versi per gioco Versi per nascondere Pensieri grigi Fiori non colti Parole senza voce: Fuggo nel sogno La regola è contare il respiro per non pensare Trovare nella regola delle sillabe la sponda per non cadere. Contare i respiri: inspiro (unoduetrequattrocinque), espiro (unoduetrequattrocinqueseisette), inspiro (unoduetrequattrocinque).  Contare le sillabe: 5-7-5 e restare con il respiro in levare come in attesa di trovare il luogo, lo spazio, l'abbraccio per lasciarlo andare. Dovrei dirti che mi è mancato il tuo sguardo su di me. Che non si impara a sentirsi trasparenti.  Invece conto sillabe e respiri.

SettantaVolteSette. O forse no

Quante porte si possono chiudere proprio in faccia al cuore prima di restarne definitivamente schiacciati? Quanti perdono so mettere in fila? Di quanti perdono sono destinataria? E quando imparerò a perdonare e perdonarmi? Non a essere indulgente con le mie e altrui mancanze, delusioni, cattiverie, ma a perdonare come quando ci si accosta al sacramento, e dopo aver avuto la fortuna di un incontro accogliente, si sperimenta la leggerezza di un'aria tutta da respirare, di un nuovo inizio che sembra poter essere solo luminoso. Ecco. Ho compreso che so perdonare e però non riesco a dimenticare. Oggi aggiungo un'altra porta sbattuta contro le mie speranze. Non si era mai aperta, a essere sincera. Può fare male una porta mai aperta? Moltissimo. Macabea si ritrova definitivamente fuori. O definitivamente dentro. Non dimenticherà. E questa volta non perdonerà. Che almeno lei mi vendichi.

Insonnia

Svegliarmi con la pioggia. Addormentarmi con la pioggia.  Uscire con l'ombrello e dimenticare di aprirlo: se la pioggia è leggera basta un cappello. Questi i miei desideri per domani dopo due meravigliosi giorni illuminati da un sole radioso.  Perché? Perché sto meglio quando piove? Cosa c'è, nel profumo della pioggia, che mi fa stare bene?  Non è la malinconia. È il suono: quello che mi fa sentire parte di un'orchestra. È il profumo: diverso per ogni stagione e per ogni città; perché è nella pioggia che le città si riconoscono. Macabea sta imparando a far scivolare con garbo queste ore notturne in cui non dorme. Dormirà quando arriverà la pioggia. Che potrebbe anche avere il tuo viso.

La casa di Macabea

Ho provato. A cercare le parole, a lasciarmi trovare dalle parole.  Forse se sapessi stare in silenzio, riuscirei. Ma i miei pensieri non si fermano; si fermano le mie parole.  Va bene. Accolgo l'incapacità di ascoltarmi mentre provo a dire tutto il dolore che mi ha urlato dentro e che ancora è lì, pronto a ripetersi.  Non si può dire, io non so dire, il dolore del convivere col terrore di perdere un figlio perché lui pensa di volersi fare perdere. Ma lui è qui. Noi siamo qui. E barcollando ci teniamo per mano. Raccontarmi scrivendo è sempre stato il mio modo per sopportare il peso di ciò che non so dire ad alta voce. Scrivere è la mia voce.  Ho appunti straripanti di prime righe lasciate a diventare anche le ultime.  Punto.  Sento il desiderio necessario di spalancare la porta di casa di Macabea e inondarla di nuova luce.  Lì posso essere quello che sento, vederlo uscire da me, diventare più leggero, per poi riprenderlo. Anche tacendo. In questo ultimo anno abbiamo ancora una volt

Basta questo

Guardo la neve che è arrivata così vicina. E la guardo tra le trame sottile di una tenda e dalla cornice di una vecchia finestra sul cui davanzale ha trovato rifugio un geranio fiorito nella confusione di un autunno che sembrava un principio di estate. Potrei essere ovunque. Ma sono a casa. Ho la testa che rimbomba di pensieri, come sempre, e di un’influenza intempestiva come mai prima. C’è stato un tempo in cui l’influenza voleva dire il lettone della mamma e del papà, le coccole della nonna e un sentirsi sospesi nella concessione di lussi altrimenti impossibili. Poi è diventata l’influenza, rara, dei miei figli e la possibilità di coccolarli mischiando il calore dei corpi ai baci che altrimenti venivano schivati dall’urgenza dei giochi. Da tanto tempo non scrivo. Continuo a portare con me taccuini che restano chiusi e penne stilografiche con l’inchiostro ormai secco. I miei pensieri continuano a mulinare sotto forma di parole tracciate e allora, per illudermi di non smarrirli, li