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Porte chiuse

L'illusione dei miei inutili tentativi di gettare ponti, intrecciare fili. Nessun ponte è arrivato all'altra sponda; i fili intrecciati si sono sciolti in disordinata matassa. Ho incontrato porte chiuse senza riuscire a trovare le chiavi che le aprissero. Altre sono state sbattute con violenza sul mio tentativo di varcarle. Mi sono vista diventare un punto sempre più sbiadito sulla linea di un orizzonte sempre meno interessante. Non so chiedere e non so ascoltare. L'anno che inizierà domani sarà uguale a quello che finisce oggi. Ed è un pensare intollerabile.

Perdere la voglia di sognare ancora

C'è stato un tempo, non troppo lontano, in cui questi erano i giorni dell'attesa e poi dello stupore e della gioia. Una parentesi felice in anni di malinconia e solitudine. Mi sembra non saper vedere che l'assenza, la mancanza. Nel tempo del Natale mi è sempre mancata una famiglia numerosa e chiassosa a riempire casa, soprattutto. Una mancanza colmata dalla gioia dei bambini, finché sono stati bambini. Questi sono giorni di una gratitudine cercata senza fortuna, che diventa esercizio doveroso e non quel naturale sorriso che dovrebbe essere. Comprendo tutto l'egoismo del mio sentire e non lo nego e nemmeno lo giustifico. Semplicemente attendo che passi, perché non ho strumenti né energie abbastanza da cambiarlo. Continuo a chiedere una notte che non porti al mattino. E continuo a svegliarmi senza stupore per non essere stata ascoltata. Anche l'Altrove necessario al mio respirare mi ha abbandonato; i miei desideri sbiadiscono. Gli occhi continuano ad aprirsi, il

Sette minuti dopo la mezzanotte

“La mente crede a bugie confortanti, mentre conosce le dolorose verità che rendono necessarie quelle bugie. E la tua mente ti punisce per il fatto che credi contemporaneamente a entrambe le cose” Il proposito era di un libro a settimana. Per trattenere l’eco di pagine che non si chiudono con il finire della lettura. Alcuni libri portano con sé l’urgenza di condividere e parlare, altri chiedono il silenzio, altri ancora scivolano via senza lasciare traccia apparente. Poi ci sono i libri la cui urgenza è talmente forte da tacitare ogni parola per il timore di non saper dire o condividere. Perché la sensazione è fisica e difficilmente può venir trascritta. Forse è quello che mi è capitato con “Sette minuti dopo la mezzanotte”. “Sette minuti dopo la mezzanotte”, di Patrick Ness è un libro bellissimo, che conquista, stupisce e commuove con l’intensità di un incontro felice e inaspettato anche grazie alle splendide illustrazioni di Jim Kay. L’autore raccoglie l’eredità della sc

Un giorno mi perdonerò

Un giorno mi perdonerò. Del male che mi sono fatta. Del male che mi sono fatta fare. E mi stringerò così forte, da non lasciarmi più. (E.Dickinson) La disciplina delle ore, delle liste, dei gesti, delle parole che si compongono negli occhi e sulla pagina. Puntello i miei giorni e il mio perpetuo cadere come nei sogni che non faccio. Copro ferite con silenzi che assordano e stupide canzoni tanto allegre da fare male, oggi. Altrove la neve. Qui è sole gelato e cielo trasparente. Ho bisogno di una coperta e di caldo che accoglie.

Propositi fatiche attese

Anche il proposito di capitare in questo spazio bianco almeno un paio di volte a settimana sembra, in questi giorni, gravoso più di quanto sappia dire. Eppure lo faccio. Come continuo ad alzarmi la mattina, a indossare la mia maschera di normalità e attraversare i giorni. Come continuo a chiedere, la sera, di esonerami  da altre mattine e la mattina, al risveglio, non stupirmi di non essere stata esaudita. Come continuo a camminare nonostante le scarpe rotte e le ossa stanche. Provo anche a continuare i miei piccoli esercizi di felicità quotidiana che, ora come non mai, sono mantenuti in vita dai libri. Da quello che ho in borsa a quelli che attendono sul mio comodino. Ho occhi stanchi e gonfi di troppi pensieri. Ho mani fredde e ferite da minuscoli morsi di enorme ansia. Ho cuore rassegnato e corpo che non so spegnere se non in un sonno di sogni brutti e faticosi. Aspetto il Natale. Sono pronta, nel mio essere completamente impreparata, ad accogliere una Luce, se mi venisse of

Piccoli pensieri di felicità quotidiana.16

E' facile come un pensiero che non si era mai immaginato di poter avere e che invece è diventato presente, possibile e reale nel tempo di un respiro. E' facile come entrare in una stanza che ci appartiene e di cui riconosciamo gli oggetti, l'odore e anche la polvere negli angoli nascosti. E' facile come lasciarsi andare allo stupore di un salto dall'altalena sapendo che un piccolissimo rischio c'è, ma la soddisfazione di farlo, quel salto, è più grande e forte della paura. E' facile come bere direttamente dalla bottiglia quando si ha davvero sete. E' facile come la nostalgia che si prova dopo. E' facile come non si era mai pensato potesse esserlo; come se fino a prima non ci si fosse mai davvero scoperti per quello che si è e che si vuole. E' facile come dire sì alla torta preferita, alla cioccolata. E' facile anche se impossibile, anche se si conoscono fin troppo bene i confini invalicabili del tempo possibile e degli spazi con

Cinque

Tornano i tuoi giorni e i tuoi anni. Cinque. 5. Non credo sia passato un giorno senza che il pensiero di te mi abbia sfiorata. Ancora non ho trovato la ragione di tutto quanto è accaduto; ancora non è fiorito nulla dal dolore. Quello che resta è una ferita in più da curare, da seguire con il dito e con il ricordo. Quello che resta è la mancanza di te che nemmeno ti sei affacciato sui nostri giorni. Quello che resta è il desiderio di incontrarti, un giorno. E riconoscerci.

L'istante prima del sorgere del sole

"L'istante prima del sorgere del sole  probabilmente appartiene a Dio" (D.Kajokas) E penso gli appartenga anche quello immediatamente dopo e tutti gli altri che seguono. Ecco perché non comprendo come possa non ascoltare la mia preghiera di resa e non distribuire diversamente gli istanti che ci sono dati in custodia.

Mulini a vento

E' iniziato l'Avvento. Cerco il silenzio che mi consenta pensieri semplici e invece mi sento circondata da frastuono assordante e disturbante. Ho pensato che tutta la fatica che sento in questo periodo, la sconfitta che mi porto dentro e che sta segnando il mio viso come mai prima d'ora, viene dalla mia ostinazione a crederci e affidarmi. E ho pensato che non posso farne comunque a meno, perché vorrebbe dire cedere a una tristezza rassegnata e insopportabile. Chiedo notti che non abbiano mattina. Ma la mattina arriva sempre. E' iniziato l'Avvento. Spero sia tempo di comprensione per l'incomprensibile che viviamo. Prendere posizione è necessità urgente. Trovare parole che siano nette e non lascino dubbi sull'appartenenza, anche. Lasciare ad altri le urla cattive, i gesti di chiusura e contemporaneamente rimanere saldi e non perdere mai l'orizzonte che si vuole raggiungere. Ci sono persone in cammino, in questi giorni. Ci sono persone che pensavano

Porte chiuse

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Da alcuni giorni sbatto contro porte chiuse che pensavo aperte e il dolore, per l'urto inaspettato, sta rendendo i miei pensieri ancora più ingarbugliati del solito e i miei giorni più tristi. Penso alle occasioni di ascolto perse, all'incapacità di comprendere una richiesta di aiuto, agli incontri mancati. Sono stata colpita da disattenzione superficiale e da un'aggressività inaspettata e ne sono uscita delusa, nel primo caso, ferita nel secondo. Forse ho scelto le parole sbagliate, i gesti sbagliati. Ho acconsentito a fraintendimenti che mi lasciano più sola e anche più disillusa. Perché l'errore del mio ottimismo a oltranza è anche questo crederci e fidarmi: per quanto mi possa ripetere che ci si salva da soli, ci si regge da soli, la verità è che ho necessità di presenze che affianchino il mio cammino. E io? Riesco a essere compagna di viaggio per qualcuno? C'è qualcuno che mi chiede di essere sua compagna di strada? Incontriamo tanti volti, tante storie

Piccoli esercizi di felicità quotidiana. 15

Imparare a bastare a se stessi. Perché non è vero che nessuno si salva da solo. E' bello avere una mano da stringere. E' necessario sapersi abbracciare da soli. Imparare a regalarsi minuscoli gesti di egoismo. Una focaccina golosa, solo per me; un pomeriggio di piccoli acquisti inutili per riempire casa di umore frivolo. Imparare a filtrare quello che entra nei nostri pensieri e a tener fuori tutto il resto. Imparare che se la propria voce rimane inascoltata, la perdita è di chi non sente. Imparare a non regalarsi a chi non merita il dono che sappiamo essere.
Sono molto triste. Una grande tristezza mi ha avvolta, pochi istanti dopo l'ultimo post. Ci sarebbe necessità di un altrove concreto, per uscirne. Mi sono fidata di un ruolo e ho pensato di potermi concedere la sincerità. Ho sbagliato e ora sono un po' più vulnerabile e mi sento anche decisamente stupida. L'età dovrebbe insegnare la diffidenza attenta. A me sta portando l'urgenza della sincerità e il desiderio di cammini condivisi. E' che non mi rassegno a questa solitudine che è la vera compagna, da sempre, del mio andare. E' che non imparo a non illudermi. Non voglio imparare. Sono molto triste perché non era stato facile dire: ho bisogno di aiuto e lo chiedo a te. Sono molto triste perché ho bisogno di aggiungere presenze e invece mi sembra di perderne soltanto. Sono molto triste per la mia incapacità di chiedere e raccontarmi e lasciarmi accogliere e, evidentemente, anche di accogliere. Sono molto triste. E vorrei anche piangere un po', non fossi

Altrove

Mi affido e chiudo gli occhi.  Sono altrove. Ecco cosa mi consente di affrontare la salita pur con il fiato corto di queste settimane. Mi racconto un altrove per tornare qui e sorridere.

La vita delle ragazze e delle donne. Alice Munro

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Pensieri e destini

"Non pensare che non ti pensi" "Che strano destino consumarsi senza consumare" Pensieri tra loro lontanissimi per appartenenza, umore, significato. Pensieri comunque sovrapponibili e che mi sono stati affidati. Non so bene dove porli, tra i miei. Per ora restano lì dove sono caduti. Se hai il dubbio che possa pensare di non essere tra i tuoi pensieri, sei consapevole del tuo silenzio e della mia attesa. E quando il silenzio e l'attesa si incontreranno, questo dovrà essere in qualche modo superato, per trovare un possibile percorso. Di chi è il destino di consumarsi senza consumare? E cosa consuma? E se non consuma, cosa può far germogliare? Ecco, questo chiederebbe una tazza di cioccolata bollente e un lungo pomeriggio di chiacchiere. E' un lunedì freddissimo, oggi, e un po' grigio. Freddi e grigi sono anche i miei pensieri scombinati e lenti. Sono fredde le mie mani. Aspetto. Ma non sono sicura di aver abbastanza pazienza.

"Chiedi a sarà dato". Ad altri. Non a te.

Macroscopica la mia incapacità di chiedere. Eppure in questi anni credo di aver fatto enormi passi avanti sulla strada del chiedere aiuto. Nonostante questo manca, evidentemente, ancora qualcosa che non riesco ad afferrare se sono ormai settimane che attendo una risposta a una richiesta esplicita di ascolto e bisogno. Non che ne sia sorpresa, ma delusa sì. Se nemmeno chi per scelta di vita fa del prestare ascolto e accoglienza riesce a dare risposta alla mia domanda, allora non posso che prendere atto del mio essere da sola con le difficoltà che porto nei giorni. E' questo, temo, quello a cui non riesco a rassegnarmi. La solitudine nella fatica. E per quanto la racconti, per quanto cerchi di condividerla, evidentemente non lo faccio con voce e parole che consentano di essere comprese. Fa male.

Della bruttezza delle mamme

Mi pare di comprendere il motivo per cui A. si sente spesso un pesce fuor d’acqua.  Non può che essere così, se anche io mi sento completamente fuori posto tra questi genitori sempre aggiornatissimi su tutto quello che accade in classe, sui programmi delle varie discipline; tra queste madri che non possono evitare di ricordare l’ingiustizia subita da una figlia per un 9- che doveva essere 10, non fosse stato per l’arroganza incompetente di un insegnante; tra queste madri che prima dei colloqui con i prof studiano i programmi delle varie materie per sentirsi pronte a difendere i propri figli casomai venissero segnati errori discutibili nelle verifiche in classe. Ascolto volentieri e spesso sorridendo i racconti polemici, divertiti, ansiosi, preoccupati, nervosi o ridicoli che i nostri figli condividono a casa. Talvolta non li comprendo, tanto mi sembrano lontani dai miei ricordi scolastici. Altre volte mi fanno sentire decisamente contenta di aver chiuso quella parentesi; altre a

Lunedì

Oggi non c'è tempo per nulla. Solo una lunga corsa verso la sera, quando arriveranno parole condivise intorno a un libro comune. In tutto questo la parentesi di una piccola, grandissima, bella notizia.

L'arma della miopia

E’ una miopia che subito non si nota. Sembra più distrazione, dimenticanza. Addirittura può sembrare uno sguardo talmente elevato da suscitare ammirazione. Invece è una scelta: di non vedere, non sentire; non toccare ma lasciarsi toccare, se questo porta a riempire la mano. E’ raccontarsi come prudenti e protettivi. L’inganno si svela lentamente. Quando l’attesa diventa una delusione ripetuta; quando si smette anche di aspettare, ma non si rinuncia a una possibilità di sorpresa. L’inganno si svela lentamente e con un dolore sordo di cui ci si vergogna anche un po’. Sembra di non avere abbastanza strumenti per capire. S’inverte l’onere della prova. Il risultato è la rassegnazione a un silenzio che aggira il conflitto; una distanza che porta con sé una grande e irrimediabile stanchezza. La meta diventa allora il non cedere, il perseverare nella propria ipermetropia proteggendola dal contagio cercando di diventare contagiosi. Ma è impossibile vincere questa guerra. Meglio co

Libro parlato

Da qualche settimana leggo ad alta voce per un’ associazione a favore di chi, ipovedente o con altre difficoltà di lettura, non può farlo autonomamente. Ho dovuto vincere un po’ di timidezza per registrare le prime pagine e poi farle ascoltare per capire se potevano andare bene.  Ho dovuto imparare a riconoscere la mia voce registrata, che non è la voce che sento quando parlo né tanto meno quella che sento mentre leggo per me soltanto.  Ho dovuto cercare un tono di voce più alto e meno veloce di come solitamente parlo.  Sto ancora imparando. Leggo e vivo la fatica del pronunciare.  Noto i refusi che nella lettura silenziosa sfuggono grazie all’incredibile correttore automatico che è la nostra vista (e il nostro cervello).  Mi rendo conto di quanto siano importanti le virgole. E le pause. Leggo ad alta voce e mi sembra di riscoprire il silenzio. Lo spazio vuoto tra un paragrafo e l’altro, tra un punto e il capoverso successivo. Silenzi da riempire di immagini senza par

In pensieri, parole, opere e omissioni

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Avevo scritto un post per venerdì. Una dimenticanza e quelle parole sono rimaste non dette e poi superate dai giorni lenti di una breve vacanza. Ho pensato a lungo se pubblicarlo ugualmente, perché in fondo sono parole che torneranno presto vive nel mio quotidiano: per ora sono solo nell'ombra, non cancellate. Poi ho scelto di aspettare che siano loro a spingere per trovare voce qui, in questo soliloquio meno cupo del mio consueto parlottare piano sotto la doccia. I giorni lenti hanno portato molti pensieri. Ho pensieri che non posso controllare; che mi portano dove decidono di portare la mia mente; che mi regalano pause da un quotidiano faticoso e che mi consentono di tenerlo in equilibrio, questo quotidiano. Sono pensieri che mai avrei il coraggio di pronunciare. Pensieri potenti che mi consentono di mantenere netta la distinzione tra il qui e l'altrove proprio perché impossibili nel loro concretizzarsi. E' una sensazione fortissima. Non è sogno. Oppure è sogno con

La strada. Cormac McCarthy

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La cenere è arrivata ovunque, come il buio. Eppure c’è il fuoco che porta calore e vita. E speranza, forse.  Davvero non so da dove iniziare per dire quanto mi sia rimasta addosso la cenere che avvolge tutto il libro di McCarthy, La Strada.  Non mi sono accorta di esserci caduta in mezzo, finché i miei occhi non hanno iniziato a lacrimare per la poca luce, il silenzio, la paura che compongono le pagine del libro e il cammino di un padre e un bambino da soli in un mondo ostile che loro, ostinatamente, continuano a pensare come casa. Non ci sono voci, lungo la strada, nessun luogo in cui ritrovare ricordi che non siano pericolosi.   Gli animali si sono estinti, gli alberi sono gli scheletri di se stessi e i pochi altri esseri umani sono i sopravvissuti di una non raccontata Apocalisse, che li ha ridotti a nemici e carnefici.  Il padre e il bambino sono fuggiaschi alla ricerca di calore; raccolgono rifiuti per nutrirsi, inventano ripari dove non ce ne sono. Non fuggono l’orr

La primavera che c'era

La mia primavera è stata soffocata da silenzi e distrazioni e stanchezza senza rimedio. Ho chiesto ascolto a uno sguardo che mi aveva dato l'illusione dell'accoglienza. Richiesta che ha avuto in risposta un silenzio che dura ormai da settimane.  Se dovesse dirmi: "eccomi, sono qui" non so se mi troverebbe. Ha senso mendicare accoglienza?  Con te, invece, mi sento trasparente. Non mi cerchi da tanti di quei giorni, che sono diventati mesi.  Non ti manca un po' il nostro abbraccio? Non ti manco io? Mi vedi ancora? Mi ascolti quando ti dico "sono qui, guardami"? Le pagine di un libro bellissimo hanno riempito di cenere i miei pensieri. Ho chiuso il libro. E ho pianto come non mi capitava da un po', leggendo. Ho pianto e quella cenere mi si è appiccicata addosso e dentro. Avevo la primavera dentro. Tornerà?

Pensieri sovrapposti

Si possono pensare pensieri sovrapposti, senza un apparente filo logico a unirli. Lo trovo di una libertà assoluta, sempre: anche quando i pensieri non sono tra i migliori. E mi chiedo quale Grazia abbia illuminato alcune menti e le loro penne, per riuscire a trasferire questa sovrapposizione su carta e poterla così regalare a noi. A me. Rileggo la Signora Dalloway e ritrovo lo stesso stupore della prima volta. Apro a caso Clarice Lispector: trovo le sue lettura della Woolf e di Joyce e ogni volta sento la mia voce tra le sue parole. Mi chiedo allora quale Grazia abbia illuminato la mia mano quando ho scelto proprio "quel" libro dallo scaffale della libreria. E ogni volta ringrazio. I miei pensieri sovrapposti di questo venerdì che aspetta un pigrissimo weekend sono meno eleganti e certamente la mia mano non sa sovrapporli nella scrittura. Mi chiedo, per esempio, quanti anni debba avere una donna per non essere più oggetto di complimenti indesiderati da tristi uo

Se non ci fosse la poesia. E Bertolt Brecht.

Molti pensano che noi ci diamo da fare nelle faccende più peregrine, ci affatichiamo in strane imprese per saggiare le nostre forse o per darne la prova. Ma in realtà è più nel vero chi ci pensa intenti semplicemente all'inevitabile: scegliere la strada più diritta possibile, vincere gli ostacoli del giorno, evitare i pensieri che hanno avuto esiti cattivi, e scoprire quelli propizi, in breve; aprire la strada alla goccia del fiume che si apre la strada in mezzo alla pietraia. Bertolt Brecht - Molti pensano - Poesie 1941- 1947

Le mamme lo sanno

Quello che sto imparando, in questi anni di maternità adolescente, è che le madri sanno. Anche quando vorrebbero non sapere, lo sanno. E sanno non perché conoscano i propri figli, ma perché li sentono. Ecco. Mi spaventa questo sapere e forse più del sentire: il sentire consente di chiudere gli occhi, il sapere no. Mi spaventa perché mi trova impreparata fino a restare immobile, o agire in modo talvolta sconsiderato quasi fossi adolescente anch'io. E forse è così. In fondo la ricerca, il cammino, l'incertezza, l'entusiasmo e la paura sono le pietre d'inciampo di tutto il nostro percorso; perché in fondo non si smette mai di crescere. E poi mi spaventa perché mi domando: se le mamme sanno, cosa sanno i loro figli delle mamme?

La primavera dentro

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Amo l’autunno come nessun’altra stagione, eppure sento la primavera dentro. Nonostante tutta la fatica che zavorra le mie giornate e i miei pensieri da tanto di quel tempo che ormai è diventata ossa, sangue, carne; nonostante la salita su cui continuo ad arrancare annaspando; nonostante la consapevolezza dei troppi fronti aperti. Mi sento la primavera dentro.  Mi ritrovo a sorridere, a parlare a voce bassissima (ma un giorno, lo so, mi tradirò), ad addormentarmi in pochi minuti senza nemmeno il tempo di arrivare all'altrove che di solito mi accompagna nel sonno.  Mi trovo ad accogliere paturnie, ansie, problemi, confidenze faticose e il mio cuore ne esce gonfio ma vivo più che mai.  Ascolto ipocondrie e resistenze illogiche ai cambiamenti e il mio pensiero si fa impermeabile al nero che vorrebbe colorarlo. Continuo a muovermi per tentativi, con le mie ricette dagli ingredienti “a occhio”, ma è come se fossi circonfusa da un’aurea di lieve ottimismo a oltranza: non s

Sul mio comodino.

I libri sul mio comodino, che aspettano di essere di essere scelti e letti, sono il puntello a una felicità promessa cui non so rinunciare. Alcuni aspettano a lungo, altri solo il tempo di qualche altra pagina. Alcuni hanno trovato lì la loro collocazione permanente e servono a regalarmi la certezza della loro presenza. I libri che ho sul comodino sono indispensabili al mio equilibrio; al sonno e alla veglia che al sonno non vuole cedere; ai sogni e all'altrove. I libri sul mio comodino mi aspettano come io aspetto loro. E’ un incontro immaginato e poi consumato e, come nelle relazioni con le persone, possono portare ad amicizie per sempre o a un fugace sfiorarsi di giorni per poi finire dimenticate o, ancora, possono diventare scontri e rifiuto reciproco. Non sono io, in questa relazione, a decidere l’accaduto. I libri non sono oggetti inermi: sono fatti di parole e pertanto racchiudono una forza importante anche quando usano il linguaggio più dolce. Ecco. Non potrei im

Piccoli esercizi di felicità quotidiana.14

Il viale che s'incendia, sorprendendomi ogni anno. Il sonno che mi prende tra le braccia della mia poltrona preferita. Un nuovo libro da iniziare nei giorni di un riposo composto da tante piccole cose al rallentatore. Il profumo della cannella. Un'assenza che diventa respiro che diventa desiderio di ritrovarsi. Piccoli gesti, brevi passi.

Rosso

E' rossa la vita che scorre e mi rende parte di un ingranaggio più grande di me e che mi ha sempre regalato stupore e meraviglia. E' rosso il colore del mio smarrirmi in segnali che non riconosco e mi fanno perdere la strada o, meglio, temere di perderla. Rosso è il tentativo di comprendere sorridendo. Rosso il colore della scatolina che proverà a lenire le occhiaie che sembrano trovarsi tanto bene sul mio viso. Rosso il colore del cioccolato che proverà a sollevare la stanchezza e renderla più leggera. Si apre una nuova stagione. E non è solo l'autunno.

Se non ci fosse la poesia

Autunno Porto negli occhi Il calore delle tue lacrime... Le ultime. Ormai non piangerai più. Sui sentieri Giunge l' Autunno E porta via tutte le foglie. Oh, che stanchezza! Una pioggia di ali Copre la terra. (Vicente Huidobro)

Piccoli esercizi di felicità quotidiana. 13

Ricordati della gioia semplice di due focaccine mangiate da sola, nella breve passeggiata fino a casa. Sotterfugi per scherzo, che devono essere tali per regalare soddisfazione. Ricordati dei tempi vuoti, rubati tra un impegno e l'altro, che dovresti riempire di utilità e invece riempi di sole sul viso, a occhi chiusi, su una panchina qualsiasi e la sensazione di vacanza ad accarezzare il cuore. Ricordati di te.

Esercizi di IN/Felicità quotidiana. 12

Spesso mi ascolto mentre dico "questo è un periodo faticoso" e mi rendo conto di dirlo ormai da tanti anni che chiamare periodo un così lungo tempo forse non è corretto. Eppure dire "periodo" significa non cedere alla stanchezza e, anche, che il mio ottimismo ad oltranza è ancora qui con me, gioca a nascondino spesso e volentieri, ma c'è. E' un periodo di tante fatiche differenti, eppure mi sento bene. Ho energie buone che sostengono i miei gesti e i miei pensieri senza respiro. Vedo la salita che sto affrontando senza ancora vedere la vetta. Però, appunto, non la vedo ancora; ma la vedrò e arriverò anche a piantarla, la mia bandierina. E' un periodo che non avrei mai immaginato di dover attraversare e non è granché di conforto pensare allo stupore per non soccombere in mezzo a tanta fatica. Ecco. Ecco perché qualche giorno fa, in una ricorrenza personale, non sono stata più di tanto ferita dalla tua consueta non dimenticanza. Quello che voglio

Accabadora

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Accabadora è un libro nero e non poteva che incrociare il mio cammino in una notte insonne di fine agosto. “Fillus de anima. E’ così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un’altra. Di quel secondo parto era figlia Maria Listru, frutto tardivo di Bonaria Urrai.” Maria e Tzia Bonaria, vivono in un piccolo paese sardo, dove tutti sanno e nessuno dice.   Bonaria è sarta, benestante, vedova senza mai essere stata sposata, non ha figli. Maria è l’ultima di quattro sorelle orfane di padre e Bonaria decide di prenderla con sé dopo averla vista rubare poche ciliegie. Iniziano la loro convivenza come madre e figlia consapevoli entrambe dei desideri dell’altra: per Maria, quello di iniziare a non pensarsi più solo come “l’ultima”, per Bonaria realizzare una maternità negata dalla vita. Bonaria sceglie Maria e la rende figlia senza diventarne mai davvero madre, perché madre, lei, lo è in modo differente: invece di dare alla

Ecco, sono a casa

"Mi sento a casa", ho pensato alcuni giorni fa. Ero in un abbraccio comodo come il più morbido dei vecchi maglioni. Ero nel posto giusto: potevo chiudere gli occhi e dormire. I miei gesti erano inevitabili e sapevo di poter regalare immediatezza tra il pensare e il pronunciare le parole. Allora casa, più che un luogo di mattoni e porte e mobili, è riconoscere un profumo che ci è mancato tanto, un tocco che pensavamo di non sentire più; è il cuore che trova il ritmo che più gli si addice e pensa: "ecco, sono a casa".

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Una presenza fragile può rimanere come compagna di viaggio in un'assenza che è presenza quotidiana? Può, il nostro amare, il nostro pensare, dare vita a chi questa vita non la percorre più? Dare voce, colore, profumo. Profumo, soprattutto. Il profumo che consola nel buio di quando si pensa di aver perso la strada. Il profumo che riporta a casa. Passano gli anni, non i ricordi. Nemmeno il dolore, passa. Diventa solo più melanconicamente sopportabile.

Chiamalo sonno

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«Poteva anche chiamarlo sonno. Era soltanto in prossimità del sonno che ogni battito delle ciglia poteva provocare una scintilla contro l’esca confusa del buio, accendere negli angoli oscuri della camera una tale miriade di vividi zampilli di immagini (…). Poteva anche chiamarlo sonno. (…). Era soltanto in prossimità del sonno che uno sapeva di essere ancora disteso sui ciottoli, che sentiva i ciottoli sotto di sé; e sopra di sé, e sempre spinta veloce verso di lui come una schiuma nera, la nube perenne di piedi calzati che correvano, le scarpe rotte, le scarpe nuove, scarpe tozze, a punta, infangate, lucidate, sformate dai piedi callosi, rovinate dai selciati, pesanti, sotto a gonne, sotto a pantaloni – scarpe, sopra di lui e attraverso di lui; e le sentiva tutte e sentiva, non dolore, non terrore, ma il più strano trionfo, la più strana acquiescenza. Si poteva anche chiamarlo sonno. Chiuse gli occhi.» Ho letto per la prima volta di  Chiamalo   sonno  un paio di anni fa girova

Se non ci fosse la poesia

"...Metterò in una barca il mio sogno affinché veleggi. Chiara, diamantina ghiaia calpesterò. Quando la luce l’attraverserà sarà perla pesante il mio cuore. E riderò. E piangerò... Ma guarda, ecco, ecco la luna!" (Kostas Kariotakis)

Piccoli esercizi di felicità quotidiana. 11

Perché è lunedì e senza un po’ di buona volontà si faticherebbe a uscire dal letto. Perché inizia la prima settimana di autunno e io aspetto questa stagione già dalla metà di luglio. Perché osservo curiosa e impaziente il cambiare colore delle foglie, i giorni che si fanno meno luminosi. Perché spero di poter riempire gli occhi dei colori del nostro Appennino. Perché ho voglia di indossare le mie calze nere e spesse, gli anfibi di vernice, i maglioni in cui perdersi. Perché desidero il profumo della pioggia di novembre e certe mattine senza nemmeno la promessa di una luce. Perché potrei continuare questa lista ancora per molto e il mio sorriso, pensandola, diventerebbe sempre più ampio.

Il fianco sbagliato

Poso il libro, spengo la luce e mi volto. Il fianco sbagliato lo riservo all’altrove prima di dormire e all'addormentarmi. Poi, nel sonno, mi rigiro. Ho imparato ad addormentarmi sul fianco sbagliato per non darti le spalle, come più volte mi hai rimproverata, in passato. Ora mi addormento chiudendo gli occhi sulla tua schiena, ma capita che a svegliarmi siano i tuoi capelli che solleticano il mio volto, la tua testa che occupa un angolo del mio cuscino. E’ questa intimità silenziosa che mi consente di uscire dagli ultimi sogni faticosi, senza respiro. Mi manca talvolta l’abbraccio, che cerco allungando la mano senza disturbare il tuo poco sonno. E tu? Come hai imparato a scivolare nel sonno?

Il lungo sguardo

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Inizia dalla fine, Il lungo sguardo, di Elisabeth Jane Howard (Ed.Fazi). Parte dalla consapevolezza di Antonia per il fallimento del proprio matrimonio, nel giorno in cui la migliore società londinese del 1950 si trova a festeggiare il fidanzamento di suo figlio Julian; nel giorno in cui la figlia rivela una gravidanza non programmata e non consona alla figlia della buona borghesia; nel giorno in cui il marito le comunica che forse non sarà presente al matrimonio del figlio e quindi, quel giorno, quando arriverà, svelerà la menzogna della loro vita. Il racconto riavvolge il nastro della vita di Antonia, dimenticata da una madre troppo bella e da un padre troppo colto, entrambi con uno sguardo troppo miope per una figlia che sta faticosamente diventando donna. Antonia prova a costruire se stessa da sola, viene tradita dal primo amore e scappando cerca di salvarsi stringendo la mano di Conrad che sposa di fretta, come tuffandosi in mare aperto senza la certezza di saper nuotar

Sogni

Un tempo cantavo nel sonno, perché nel sogno cantavo. Ho perso quella voce e ora i miei sogni parlano lingue che non comprendo, come i miei giorni. Un tempo cantavo nei sogni, ora i sogni vorrei dimenticarli e mi restano invece appiccicati ai giorni

Silenzi e giorni

Si vivono silenzi. Parole stentate, solo se necessarie. Si toccano silenzi. Sfiorarsi evitando ogni possibile incontro. Si compongo tempi: il sonno e la veglia per non rischiare di rompere il silenzio. E farsi male. Capita poi di allungare una mano, incontrare una schiena. Capitano sogni interrotti da capelli che non sono i miei. Si sbatte contro fraintendimenti stanchi e rabbiosi. Resta la sensazione di impotenza, un po' di rassegnazione che però non trova la necessaria pace per diventare abitudine. Restano la solitudine, la fatica, il poco respiro, il sonno fatto di sogni affannosi. Restano i desideri taciuti ma non dimenticati. Resta la paura. Si vivono silenzi e si rimane da soli. Anche insieme.

Silenzio

Io mi unisco al silenzio io mi sono unita al silenzio e mi lascio fare e mi lascio bere e mi lascio dire. (A.Pizarnik)

Attendo

Chi non cerca, non trova, ma chi non cerca è molto probabile che nemmeno venga cercato; e trovato. Ci penso da un po'. Da quando ho iniziato a offrire il mio silenzio per qualcosa di più importante di un altrove che dà respiro leggero, ma solo a me. La semplicità con cui ci si può cancellare e la facilità con cui ci viene permesso di sbiadire. Posso sbiadire fino a cancellarmi. Nessuno traccerà i miei contorni per renderli più presenti. Non sono altrettanto brava a cancellare: strada sicura per diventare vulnerabili. Stamani la prima prova di A. e il mio rivivere un ben noto incubo in lei cercando di non lasciar trasparire la paura che toglie il fiato e riempie il sonno. Affronteremo quello che sarà, ma raccogliere i suoi fragili e preziosissimi pezzi, dovesse rompersi, sarà qualcosa che richiederà capacità e qualità d'amore che non so se sono in grado di trovare e donare. Proveremo. Come sempre. Abbracciandoci. Adesso sarebbe proprio ora che Qualcuno guardasse dalla
La stanchezza non è mai per caso. E' rabbia inespressa o gridata nel silenzio vuoto di un'auto in corsa. E' ferita che non guarisce perché mai curata. E' l'incapacità di capire la ragione di tanto accanirsi della sorte. E' l'impossibilità di arrendersi alla caduta. La stanchezza non è mai per caso. E consuma. I pensieri, la pelle, lo sguardo. Anche le labbra e le pieghe ai lati di un sorriso stentato. Si argina con il sonno davanti a uno schermo che canta una nenia lontana e asettica. Si prova a nascondere tra le pagine di un libro, in un cinema all'aperto. Si maschera di stanchezza un dolore sordo, invadente, insopportabile. Pagare responsabilità di altri è amore? O rassegnazione? O è il castigo che ci si infligge per una colpa originale che non si trova e, perciò, non si può scusare? Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti, che mi dica: siedi, ci penso io. Che sappia leggere nei miei occhi stanchi, nella mia voce stanca. Ho bisogno di un aiuto

Nessuno ascolta

Toccare la propria inutilità. Potrebbe essere motivo di serena accettazione per aver concluso il proprio compito. Potrebbe essere occasione per sedersi e semplicemente guardare l'altrui andare. Potrebbe essere così se dall'altra parte non ci fosse un amore che non so amare, a quanto pare; se non ci fosse un cammino accidentato che non so spianare. Mi hai colpita ancora una volta con mira da cecchino che spara a occhi chiusi per non vedere l'enormità di ciò che colpisce. Puoi farlo solo tu. Fragile e insicura e determinata in un racconto che puntelli di certezze che racconti ma non possiedi. Mi hai colpita e lasciata a terra ferita di una ferita che non so guarire e che tu non vedi nemmeno, persa come sei nell'egoismo salvifico dei tuoi anni. Mi hai abbattuta colpendo altre ferite non ancora guarite, il mio senso di colpa per l'incapacità di essere altro da quella che sono, il mio sentire che tutti questi colpi, l'indifferenza, la lontananza che si fa rifiu

La trasparenza

Mi svesto piano, accanto a te che leggi. Non ti accorgi della mia studiata lentezza, perso tra parole che ti portano lontano. Cerco il tepore in queste notti estive insolitamente fresche. Trovo un sonno profondo e invincibile. Ho desiderato a lungo la dissolvenza. Ho trovato la trasparenza. La mia.

Magliette rosse

Li prende il mare, così piccoli che sembrano pesciolini. Rossi, come le loro magliette scelte da madri che sperano, così, di dar loro una possibilità in più di essere salvati. Li prende una mano sconosciuta, così piccoli, e li rinchiude in gabbie, lontano dai genitori, circondati da parole che non comprendo e dal pianto spaventato di chi quell'orrore lo sta ancora vivendo. Sono bambini. E muoiono per la nostra indifferenza, per mia indifferenza. Notizie da scorrere via veloci, subito prima di baciare i nostri, di figli. I nostri figli sudati di estate e loro, i nostri figli bagnati di un mare che ce li doveva affidare e che noi abbiamo respinto. I nostri figli che gridano nei centri estivi e loro, i nostri figli rinchiusi lontano per non sentirne le grida di terrore. I nostri figli sporchi di sabbia per i giochi senza fine delle giornate al mare e loro, i nostri figli sporchi della nostra indifferenza. Porto sulla coscienza la morte di ciascuno. E' un peso che portia

Nel frattempo...

...capita che passi oltre un mese. Un mese che ha visto la fine di un anno di scuola tormentato, un viaggio tutti insieme, l'arrivare della stagione calda che  sembra essere clemente. Un mese di fatica e preoccupazioni. Un mese di gioie e soddisfazioni. Un mese com'è la vita, sempre. ...capita di navigare a vista. Come succede ormai da un tempo forse un po' troppo lungo, perché sarebbe il momento di concedere un po' di bonaccia alle nostre vele fruste. ...capita di attendere. Gli abbracci di chi solo in estate di può abbracciare. Le chiacchiere con chi solo in estate si può incontrare. ....e capita di deludere le attese. Di chi quest'estate la passerà con un libro di scuola sempre in borsa, perché quel libro (più di uno, veramente) non l'ha aperto abbastanza durante l'anno e forse non ha ancora ben capito cosa voglia dire trascurare, lasciar perdere, rimandare. ...capita di aver capito cosa si sarebbe voluto fare nella propria vita. E anche se ormai

Piccoli esercizi di felicità quotidiana. 11

Impossibile addormentarsi senza la dolcezza del vostro ultimo saluto, anche ora che mi sembrate così grandi, nei vostri soliti letti. Impossibile rinunciare al rito che, di tanto in tanto, regala i sorrisi più belli e gli attimi più cari da conservare nel cuore. Come un inaspettato, perché molto, troppo, raro: "ti voglio bene".

Siamo nati di primavera

Siamo nati di primavera. Non abbiamo conosciuto l'estate, se non nell'illusione dei primi giorni di sole caldo; abbiamo attraversato l'inverno per tornare alla primavera come solo ai bambini è dato. Quello che ci siamo dati sono parole inventate in un altrove di tempi verbali. Quello che ci siamo dati è un sogno lento da raccontare sottovoce prima di dormire.  Quello che abbiamo è la presenza di chi si pensa. Siamo nati di primavera. Primavera resteremo.

Piccoli esercizi di felicità quotidiana. 10

Immagine
Il mio altrove ha pareti grigio-azzurre e un soffitto sotto il tetto per sentire la pioggia; una città grigia fuori dalla finestra e tutti i libri che vorrei intorno. Il mio altrove ha prati verdissimi e cieli profondi puliti da un vento salato; il mare fuori dalla finestra e aiuole piene di fiori spontanei. Il mio altrove ha un'amaca sospesa tra due alberi troppo grandi da abbracciare e un dondolio leggero che non mi consente di scendere.

Quindici

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Eccoti qui. In cammino con determinazione e un po' di ostentata pigrizia. Con la tua curiosità per il mondo e lo sguardo aperto alla scoperta. Con contraddizioni e testarde coerenze a puntellare la confusione. Parole, disordine, talenti. E il tuo bel cuore.

Piccoli esercizi di felicità quotidiana. 9

In realtà la tentazione è il silenzio o il cercare sfogo in una lamentazione autodistruttiva. Forse, però, in qualche angolino nascosto di non so quale posto dentro di me, una labile traccia di ottimismo a oltranza è rimasta (e non so dire se sia una condanna o la mia salvezza). Così ci provo. Nulla da dire se non che vorrei riprendere questi piccoli esercizi di felicità quotidiana, anche se non trovo ragione al mio camminare, al mio faticare. L'altro giorno ho camminato velocemente con la musica nelle orecchie e il pensare si è ripulito. Almeno per un po'. Ho dato una disciplina insolitamente ferrea alla scansione temporale delle mie giornate. Leggo disperatamente libri che mi consentano di divorare parole che salvano e, proprio per questo, sabato parteciperò a un corso che tra i libri mi farà perdere e ritrovare. Mi punisco, un po', lievemente, offrendo il mio piccolo sacrificio per altri che faticano più di me e che amo più di quanto non ami me stessa. Prego. Con

Buona Pasqua

Anche la Tua porta era chiusa. Chiedo. Busso. Nessuno risponde. Nessuno apre. È il Tuo silenzio nel mio vuoto e inutile pensare e pregare. Continuo a credere di essere io: a non sentire, a non saper chiedere. Sono ferita da un Amore che non so. E sono ferita dagli Amori che non so nutrire. Cerco un silenzio che porti pace. Trovo un silenzio pesante di tutto il non detto. Ho sogni che altri vivono. Ho desideri che altri compiono. Ho i tulipani che ho comperato per fingere colore. Ho un biglietto identico a quello dello scorso anno e a quello prima ancora. Ho mancanza e vuoto e buio. E il consueto senso di colpa per la mia poca accoglienza. Nemmeno il coraggio della dissolvenza. O della menzogna, almeno. Io. Il mio castigo più grande.  
Quando non ci sei, la nostra casa è più in ordine e i miei occhi si posano sereni sui cuscini ben sprimacciati, sui tappeti liberi da cavi volanti, sul piano di lavoro della cucina pulita da farina e briciole. Quando non ci sei, la nostra casa è in ordine. Non così il mio cuore e i miei pensieri, che trovano ordine e riposo quando ci sei.

Disinstallatemi il sesto senso

Si vorrebbe tornare a casa e trovare il nido che accoglie, protegge, e risolve, ma se il nido lo si è costruito con amore e volontà, tocca più spesso ai costruttori accogliere, proteggere e risolvere. Ecco. Ieri sera è andata così. Ho ricevuto in dono una confidenza fragile e preziosa e spero di averla saputa accogliere con la voce e il gesto giusto. So di essere stata sincera, ma non so se sia abbastanza. Inizia una strada nuova e non sarà una strada facile, perché poter essere solo testimoni delle inevitabili fatiche di chi ami, non è facile. Qui non c'è nulla da risolvere, ma da proteggere e accogliere sì. C'è da trovare l'abbraccio e il coraggio dell'orgoglio di un amore senza confini. Per questo ti ringrazio. Perché ieri mi hai affidato il tuo cuore. Spero che fra tutte le parole che ci siamo scambiati, tu ricorderai che in un angolino di questo tuo cuore speciale, io vedo il suo sguardo lieve sul mondo (dono che in pochi hanno) che ti sosterrà sempre. Ti vo
La giornata della felicità mi ha trovata con un senso di angoscia che mi chiude lo stomaco. Apparentemente senza motivo, in realtà devo ringraziare le antenne che non si abbassano mai e che mi fanno cogliere anche quello che non vorrei. Ora si tratta di capire se fare come sempre e andare avanti sapendo che prima o poi arriverà il momento di affrontare tutto, oppure andare all'assalto e vedere cosa succede. Per il momento vorrei solo che la mia mente riuscisse a essere abbastanza occupata da non lasciarmi il tempo di pensare. Non sarebbe stato diverso se avessi avuto il coraggio di chiamare per nome i miei desideri e di provare a seguirne il richiamo. Non sarebbe stato diverso, solo avrei avuto un po' più di distanza fra le mie fatiche e le fatiche che saranno mie pur non avendole scelte. Per il momento vorrei che accadesse un miracolo piccolo e risolvesse tutto. Uno solo.

Neve

Dove vivo, la neve cade e non si ferma.  Insegna a gioire del momento, della speranza che questa volta sarà diverso.  S'impara l'attesa e la disillusione.  Resta, ogni volta, lo stupore della felicità per questi fiocchi di passaggio.

La felicità di Virgina Woolf

Le letture del mio ultimo anno sono state accompagnate dai diari di Virgina Woolf, letti lentamente, tra un libro e l'altro, per trovarne il ritmo quotidiano e, talvolta, far coincidere i suoi giorni con i miei. Non ho mai pienamente condiviso la lettura della Woolf alla luce della sua malattia mentale. Tra le righe dei suoi romanzi, nella sapiente e unica scelta delle parole, nei ritratti delle donne che vivono i suoi libri, ho sempre scorto una vitalità che nella più diffusa critica letteraria viene spesso dimenticata. Nei diari ho trovato la civetteria, le preoccupazioni quotidiane per la gestione casalinga, la curiosità verso gli altri, l'amore per il marito e per altre donne; ho trovato il timore di non piacere, di non essere all'altezza e la consapevolezza del proprio talento; ho trovato le contraddizioni, le nuvole anche nei cieli più azzurri; la speranza e lo sconforto. Ho trovato una donna come siamo in tante, ma soprattutto una donna che sapeva essere felice c