Pausa

Ogni sera, da alcuni anni, segno un minuscolo accadimento che meriti di essere fermato su carta. Sono quadernetti regalati dai miei figli. Da una parte le parole in cui inciampo e che non voglio scordare, dall'altra gli attimi da fermare.
Non è stato sempre facile trovare qualcosa da voler ricordare, ma anche nei giorni più faticosi sono riuscita a notare una sfumatura del cielo, ad ascoltare una parola, a ricevere un sorriso.
Ieri ho deciso di prendermi una pausa.
Perché anche quei pochi minuti mi chiedono un dispendio di energie che ora sento di non avere.
So di essere fortunata. Che ogni passo fatto in questa palude ha del miracoloso.
So di essere stanca oltre ogni possibilità di raccontarlo. E mi sento noiosa e insopportabile, per questo.
Chiedo che i miei occhi si chiudano, la sera. Perché nemmeno nei sogni trovo più l'altrove che mi ha sempre consentito un equilibrio possibile, per quanto incerto.
Chiedo che i miei occhi non si aprano, la mattina. Perché ho voglia di un riposo che non abbia fine; perché vorrei sollevare chi amo dalla fatica di avermi accanto, per donare loro una libertà che non so dare.
Nulla di ciò che chiedo accadrà. Non so chiedere. Non so bussare. Non avrò. Non mi verrà aperto.
Allora mi siedo. Mani vuote posate su un inutile grembo. Occhi verso un orizzonte che non vedo.
Mi siedo. Cercando di non aspettare.

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