Purity, Jonathan Franzen

Amo leggere Franzen anche per una ragione estetica: i suoi libri hanno molte pagine e richiedono tempo. Non sono i libri che porto nella borsa e leggo mentre attendo. Sono libri che mi aspettano sul comodino, o accanto alla mia poltrona preferita, a casa. 
Purity racconta di una famiglia inconsapevole e lo fa intrecciando più storie dentro la storia, facendo intuire il percorso dei protagonisti e poi sorprendendo con destini non prevedibili. Fornisce al lettore moltissimi indizi, ma poi lo porta a considerare ogni volta un diverso punto di vista.
Non saprei nemmeno dire chi è il protagonista della storia. Se la Purity del titolo, in balia di adulti confusi più di lei, o Andreas Wolf, il “Grande Fratello” alla ricerca di una purezza impossibile. Se Tom e Leila, che del giornalismo coerente hanno fatto la loro ragione d'essere, o la madre di Purity, che si cela al mondo nel desiderio di una moralità assoluta.
Tutti hanno modo di raccontare la propria storia, legata a quella degli altri. Tutti provano a migliorare un mondo che non gli piace. Tutti sbagliano, cadono, feriscono, si rialzano, ingannano altri e sé stessi; tutti escludono e coinvolgono; tutti cercano un appiglio per salvarsi.
Amo leggere Franzen perché racconta una storia prendendo e pretendendo tutto il tempo necessario. Perché tra le sue pagine si ritrova il romanzo ottocentesco. E perché scrive bene. Benissimo. Senza virtuosismi ma con la passione di chi le parole le ama, le conosce, le sceglie e le rispetta.
In questo suo ultimo libro, poi, mi è parso meno teso a dimostrare la propria intelligenza, il proprio talento di scrittore. E' un libro meno cinico, forse più disperato.
Ieri sera ne ho letto l'ultima pagina, ma il libro resterà ancora per un po' sul mio comodino.

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