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Visualizzazione dei post da maggio, 2013

Pensando in pensieri sconnessi

Guardo da una finestra che non c'è. Dodici anni e pensare di aver capito che solo quelle belle possono piacere; e pensare di non essere tra quelle belle, nemmeno tra quelle brutte, però: indifferente. Mi ha riempito di tristezza. Una tristezza non mia, per una volta. Ieri giornata da dimenticare, che ha lasciato strascichi di fatica anche oggi e che faticherà a sciogliersi domani. Volo in un precipizio senza fine. Sono a un passo dal cadere di sotto. Non camminerò quel passo. E non si impara. Non si cambia. Non so chiedere. Non so dare il desiderio di rispondere ai miei desideri. Essere trasparenti, dimenticabili. Lo ha respirato da me? Eppure so di non esserlo; non l'ho capito, ma lo so. Lo capirà prima di sentire il vuoto che ho sentito io e che mi ha scavato dentro? E poi sentire di dover tranquillizzare: mangio, sì; sto bene, sì. E il desiderio di essere fisicamente sola per non sentirmi così sola. E la paura di chiudere gli occhi e vedere una minuscola schiena,

Citazione

«Credo malgrado tutto che ogni persona sia sola, tutto il tempo. Si vive soli.  Gli altri ci stanno intorno, ma si vive soli.  Ognuno è come imprigionato nella sua testa, e tuttavia noi siamo quello che siamo solo grazie agli altri.  Gli altri ci “abitano”.  Per “altri” si deve intendere la cultura, la famiglia, gli amici. A volte possiamo cogliere il mistero dell’altro, penetrarlo, ma è talmente raro! È soprattutto l’amore a permettere un incontro di questo genere.  Circa un anno fa, ho ritrovato un vecchio quaderno dei tempi in cui ero studente. Lì prendevo appunti, fermavo delle idee. Una citazione mi ha particolarmente impressionato: «Il mondo è nella mia testa. Il mio corpo è nel mondo». (Paul Auster)
Prima è stato il corpo. Sangue e viscere scivolate con tremore tra lacrime come coltelli e respiro senza fiato. Tra paura e dolore e impotenza. Poi è stata la luce fredda dell'ospedale. Le mani carezzevoli dell'infermiera e quelle fredde di un medico distante. Il mio corpo non ero più io. Questa la sola sensazione certa dei lunghi minuti in cui ha cercato, a suo modo, di aiutarmi. Il mio corpo altro da me. Per sempre? Poi è stato il sonno e, poco dopo, una voce che chiamava il mio nome per farmi uscire da quel sonno bello in cui sarei voluta stare più a lungo; in cui vorrei poter stare anche ora, forse. Poi è stato odore che ho riconosciuto con nostalgia. Solo che ora non ho null'altro che le mie ginocchia da stringere al petto. E poi è stata casa e l'ingrato sentimento che mi vorrebbe sola. Da sola. E' stato amore che mi ha abbracciato e che non so restituire. Perchè so solo piangere. Perchè sono triste. Poi è stata rabbia. Verso chi sembra saper chiede

Silenzio

Il minuscolo cuore che batteva sotto il mio, si è spento. Arrivato nel buio, cresciuto nel sogno, spento nel silenzio. Il mio ventre ti è ancora culla. Culla che aspetta di tornare vuota e sterile. Il mio corpo aveva parlato, il mio cervello lo aveva letto. Il mio cuore voleva battere ancora con il tuo. Oggi è la tristezza a riempirmi. Non più il sogno, non ancora l'accoglienza di questo disegno incomprensibile. Oggi. Domani troverà un senso il tuo averci sfiorati, il tuo essere stato parte delle nostre speranze, dei nostri sorrisi, delle nostre giornate. Ci hai regalato un abbraccio che non sapevamo nemmeno di saperci donare. Domani passerà la tristezza e troveremo il tuo seme in qualche frutto che non pensavamo di poter conoscere.

Giovedì

La pioggia che sembra non smettere mai ha accompagnato una giornata faticosa che non so lasciar andare. Ho il timore che nel buio prima del sonno arrivino i pensieri pesanti che oggi si sono trasformati in inutili parole di sfogo. Mi sento sconfitta. Come quando non si hanno altre armi che la rabbia. Ascolto la pioggia cercando di non sentirmi in colpa se il suo rumore sul tetto mi piace. E penso a chi questo stesso rumore lo sta ascoltando con ansia e timore. Eppure uscirei, senza ombrello, per lasciarmi portare via tutto il peso di questa giornata da dimenticare. Uscirei con scarpe pesanti per poter calpestare pozzanghere come fossero i miei pensieri da cancellare. Uscirei sola, con il viso a guardare la strada e a non incrociare nessuno. Non è tempo per fingere serenità, stasera. Ci proverò domani. Uscirei. Ma resto qui. Troverò la carezza del sonno che più amo guardare. E chiuderò gli occhi per immaginare. Alberi verdi di primavera bagnata intorno a una porta rossa. Imp

10 settimane

Ora. Che un minuscolo battito trova la strada sotto il battere del mio cuore, ne conosce il ritmo, la gioia incredula e i timori. Ora. Che ancora non riesco a dare confini a questo sì mai pronunciato che cresce dentro di me. Ora. Che la gioia, l'attesa, lo stupore iniziano a essere condivisi. Ora che c'è stato il tempo di un sorriso, un abbraccio, una risata; il tempo per i castelli in aria e per parole che riportano con i piedi per terra. Ora dovrei provare. A raccontare quello che sento e che non comprendo. Dovrei provare a superare il timore che a pronunciarne le parole, questo battito torni desiderio e sogno. Ancora ho bisogno di tempo. Ancora ho bisogno di sentire che l'abbraccio che mi circonda è diventato rotondo. E' paura. Timore per la tanta strada ancora da fare, per i tanti giorni ancora da contare. E' l'incredulità per aver ricevuto un miracolo senza meritarlo. E però come altro può essere un dono, se non inaspettato e immeritato? Mi ab