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Visualizzazione dei post da dicembre, 2011

L'anno che sta per finire

Con passo incerto seguo il tuo profumo nel vento. Penso al silenzio che mi stai regalando e provo a riempirlo con parole che possano somigliare ai tuoi pensieri. Con passo incerto vengo a cercarti. Cerco di seguire i fili sottili che ti sei lasciato alle spalle perché io potessi ritrovarli. Perché questo sono i nostri giorni. Fili invisibili che s'intrecciano e ci avvicinano e allontanano; che ci perdono per ritrovarci. L'anno sta per finire. Non riuscirò a trovarti in tempo per dirtelo. Inizierà un anno nuovo. Ti troverò lì.

Con passo incerto

La neve, sul vialetto, è rimasta intatta. Nessuna impronta a salire, nessuno a bussare alla porta. Un Natale che non trova le parole. Oggi il sole. Ho preparato una borsa leggera. Chiudo la porta, spengo la luce in fondo al viale. Vengo a cercarti.

Inverno

Ovatta la mia pelle rallentata dal freddo e dal respiro sempre troppo corto. Ovatta i miei pensieri rallentati dalla timidezza e dal pudore dei desideri. Ovatta le mie ore rallentate dalla mia volontà di trattenere questo profumo di casa e questo calore di bimbo mentre fuori è distanza, confine, altrove che non mi appartiene. Ovatta questo primo giorno d'inverno così luminoso e trasparente da socchiudere gli occhi e poi chiuderli. E andare.

Domenica

Contagiata dalla loro gioia talmente sottile e leggera da non sentire il freddo pungente che ha invece paralizzato i miei movimenti. Contagiata da un abbraccio piccolino, scontroso e inaspettato. Azzurro. Contagiata dalle voci rumorose, dal disordine festoso, dal pasto consumato in fretta per non rubare tempo al gioco. Contagiata dal primo profumo del Natale. E, come sempre, sono stati i bambini.

Caffè

Piove fortissimo, mentre bevo il mio caffè lungo di mezza mattina. Guardo il grigio che lava i colori dell'autunno in attesa di un inverno che spero freddo. E bianco. Bianco come il sogno di stanotte, che non ricordo se non nell'impossibilità di vedere bene per la troppa luce. Forse è per questo che stamattina, per uscire, ho bistrato di nero i miei occhi, nella speranza di celare il nuovo segno di una stanchezza che sembra antica. Piove fortissimo. Una pioggia fredda e appuntita, che ferisce il viso. Nel cuore la mia fatica. Nella borsa il sorriso che ritroverò.

Alla fine del giorno

I telegrammi non si usano più. Ma io non vivo oggi, vivo altrove e quando il postino mi ha consengato la busta non mi sono meravigliata. Ho ricevuto un telegramma. E posso solo tacerne.

Nevicherà

Il legno, fradicio di pioggia, profuma di un bacio non dato. Sono tornata lì. Il mio ombrello dimenticato, come sempre; i miei capelli umidi, come sempre. Le luci rimbalzano sul selciato lucido. Non vedo bene. Sento. Che non ci sei, perduto nei tuoi pensieri che incrociano i miei solo quando il vento non sbaglia direzione. Che non arriverai in tempo per il bacio mancato se non per un fortuito gioco di stelle. Non sempre le parole dicono quello che pronunciano. Non sempre i pensieri seguono le parole. Non sempre un legno fradicio è destinato a marcire. Sul tuo cuscino è rimasta l'impronta del tuo capo, il profumo caldo dei tuoi capelli. Stanotte nevicherà. Domani sarà un lento risveglio, come quando si decideva di trasformare in domenica un lunedì mattina, di chiudere fuori il mondo e farlo tra le nostre braccia, il mondo. Mi sveglierà lo scricchiolio della neve. Mi sveglierà la mancanza di te.

La porta

Quando sei arrivato, entrando dalla mia porta socchiusa, che aspettava proprio te, ho iniziato a capire che già ti amavo. Ti avevo amato nell'immaginare il tuo arrivo, nell'indovinare i tuoi gesti e la tua voce. Ti avevo amato mentre credevo di amare un nome diverso dal tuo. Quando sei arrivato, entrando dalla mia porta aperta, ho lasciato che l'amore bastasse all'amore. Perché riconoscerti è stato inevitabile. Perché dire il tuo nome è stato imparare ad ascoltare la mia voce. E non ho imparato ad amarti più di quanto non ti amassi il giorno che sei arrivato. Poi sei partito, ma la mia porta è rimasta aperta.

Ritorno

La luce che ho lasciato accesa mi ha riportata a casa. Nel silenzio della mia notte appena iniziata, nel freddo dell'aria che libera il mio respiro. Ho acceso le luci dell'albero. Sentirò fruscio di folletti, stanotte. E sentirò la carezza del sogno. Come la tua mano tra i miei capelli.

Preparo la cena

Alcuni giorni resto davanti alla mia finestra per un tempo che non so contare. Mi perdo nell'orizzonte e arriva sera. Me ne accorgo perché un brivido mi risveglia. Allora riscaldo la casa, accendo la luce. E una candela. Mi scaldo le mani con una tazza di the caldo e magari mi avvolgo in un maglione in più. Non ho più il mio maglione preferito, quello che mi ha scaldata per tanto tempo. L'ho riposto nell'armadio per i giorni in cui la mancanza di un abbraccio è troppo forte per affrontarla da sola. L'ho riposto nell'armadio, logoro e rattoppato, e non riesco a sostituirlo. Così continuo a sentire freddo. Un po'. Oggi parlavo di parole che non possono non trovare una voce perché sono dono, perché il loro silenzio impoverirebbe noi e gli altri. E lo dicevo io, incontrando una resistenza timida e testarda che tanto assomiglia alla mia. E lo dicevo io, che parlo qui perché nessuno possa sentirmi davvero; che mi nascondo in questa casa dalle imposte rosse

Spengo le luci

Spengo le luci. E spengo il giorno. Chiuderò gli occhi e spegnerò i pensieri. Si accenderanno i sogni. Poi arriverà il mattino.

Sera

Ho freddo. Fino alle ossa. E non riesco a chiudere la finestra. Potresti non entrare più. Ho un nome. Che non pronunci perché non è il mio. Ho un desiderio che non realizzo. Per poter desiderare ancora? E ho il buio intorno. E il tuo calore dentro.

Inizia dicembre

Ho colorato le imposte di rosso, così che tu le possa riconoscere da lontano. Ho accesso una luce all'inizio del vialetto, così che tu possa risalirlo anche con il buio. C'è il profumo delle candele, la coperta a scaldare il tuo posto. E ci sono io. Che non so morire. Ma so piangere. C'è desiderio di neve nel mio respiro freddo. C'è desiderio di mani a scaldare le mie. Ci sono io. Che non so perdermi. Ma so tornare. Ho colorato le imposte di rosso, lasciando i segni del legno come ferite sul colore. Ho acceso una luce all'inizio del vialetto, lasciando che bruci piano piano piano e che la terra la faccia respirare. Per sempre.